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 2021  aprile 20 Martedì calendario

I numeri dell’acqua minerale


Il settore delle acque minerali è in piena trasformazione. È un mercato sempre più competitivo, schiacciato tra la spinta ambientalista che impone di rivedere il consumo di plastica e una concorrenza spietata sui prezzi. In questo panorama a resistere sono le aziende più strutturate, che riescono a garantire forti investimenti che si ripagano bene con volumi alti. Tutto cambia, ma per molti aspetti, soprattutto legati alla gestione regionale delle concessioni, il comparto resta ancorato al passato e a permessi accordati da decenni con pochi adeguamenti dei canoni nel tempo. A trainarlo è il grande consumo di acqua in bottiglia: con 200 litri pro capite contro i 118 della media Ue, l’Italia è il primo Paese europeo (fotografia di The European House Ambrosetti), il terzo al mondo dopo Messico e Thailandia.
Il Piemonte è la regione italiana che ha il maggior numero di concessioni attive per l’imbottigliamento delle acque minerali, dicono gli ultimi dati disponibili del ministro dell’economia e delle Finanze. Tra le regioni italiane, Piemonte, Lazio e Lombardia si posizionano al vertice della graduatoria per superficie concessa: insieme rappresentano il 41 per cento della superficie nazionale data in concessione per lo sfruttamento delle acque minerali e da solo il Piemonte vale il 17%. In totale, le fonti di acque minerali piemontesi sono 114, dislocate su 87 siti estrattivi.
Le concessioni attive, però, sono 46, ma quelle effettivamente utilizzate sono appena 26 di cui quattro sfruttate da Fonti di Vinadio, altrettante da San Bernardo e sei da Pontevecchio. Più o meno la stessa situazione della Liguria: 22 fonti censite, ma solo 8 concessioni attive e 2 le aziende che hanno resistito alle trasformazioni dell’ultimo decennio, anche se pronti a riaprire gli stabilimenti ci sono altri due marchi che guarderanno però al mercato di Emirati e Medioriente.
Le fonti piemontesi
Il motivo che frena nuove aziende a entrare nel mercato non è il costo delle concessioni che resta comunque basso. Piuttosto, riguarda valutazioni di mercato. Il canone di concessione delle acque minerali destinate allo sfruttamento prevede una componente fissa rapportata all’estensione della superficie dell’area oggetto di concessione, introitata dalla provincia o città metropolitana competente per territorio. E poi una componente variabile rapportata ai quantitativi di acqua minerale imbottigliata, introitata dalla Regione Piemonte, che gestisce anche il rinnovo delle concessioni. Gli importi pagati nel 2021 si riferiscono all’attività del 2020 (si tratta di un canone posticipato) e sono così strutturati: la componente fissa vale 37, 23 euro per ettaro con un minimo di 3.190,76 euro e quella variabile, per ogni mille litri di acqua imbottigliata, va da 1,06 euro per i primi 60 milioni di litri e 1,28 euro se si superano i 150 milioni di litri imbottigliati. Cifre introdotte nel 2014 e da allora solo ritoccate sulla base del tasso di inflazione programmato. Il risultato è che la Regione Piemonte, per tutte e 26 le concessioni effettivamente utilizzate, ha incassato un canone di competenza sull’imbottigliato che è stato di circa 1,4 milioni. La quota fissa, invece, va agli enti territoriali e viene pagata anche da coloro che detengono la concessione senza utilizzarla. Per fare un esempio, Fonti di Vinadio che detiene il marchio Sant’Anna, leader in Italia con un fatturato che negli ultimi 10 anni è più che triplicato – nel 2019 il giro d’affari ha toccato i 320 milioni di euro – lo stesso anno ha versato alla Regione un canone di 875.234 euro in due rate.
«Distribuiamo la nostra acqua in tutta Italia e siamo primi in quasi tutte le regioni – racconta Alberto Bertone, Presidente e Amministratore Delegato di Acqua Sant’Anna –. La competizione sul mercato è ancora molto incentrata sul prezzo piuttosto che sulla riciclabilità del prodotto. Il problema è che il consumatore quando deve spendere qualche centesimo in più comunque preferisce risparmiare. Gli investimenti sono fondamentali per resistere in un mercato in forte concorrenza, dove i margini sono risicati. I nostri investimenti annuali vanno dai 10 ai 40 milioni e sono indispensabili per adeguare i macchinari». Proprio la competitività (le prime cinque aziende in Italia coprono l’80% del mercato) e i costi di produzione, scoraggiano le aziende a entrare in questo business.
Un’altra importante azienda del territorio è Pontevecchio, che imbottiglia marchi come Valmora e Sparea, guidata dalla famiglia Damilano il cui amministratore delegato è stato Paolo Damilano, candidato a sindaco di Torino alle prossime amministrative con la lista civica “Torino Bellissima”.
Molto più marginale, in questo settore, è la Valle D’Aosta che ha un totale di sette fonti di cui tre sono attive per l’imbottigliamento, una è in concessione ma non è utilizzata e altre tre sono le concessioni non sfruttate. Di quelle effettivamente operative due, “Fonte Rey” e “Youla” nel comune di Courmayeur, sono affidate fino all’aprile 2023 alla Società Sorgenti Monte Bianco S. p. A che fa capo al gruppo francese Sources Alma. In questo caso il canone di concessione è in linea con quello piemontese.
Piccolo non sempre è bello
Sulla cartina geografica della Liguria, le fonti d’acqua sono 22 puntini dislocati tra le Rocche dei Valletti in provincia di La Spezia e Fontana Fredda in provincia di Imperia. L’oro del futuro a portata di mano, ma complesso da sfruttare. Tanto che negli ultimi 10 anni le aziende da 9 sono rimaste 2. Le altre sono state cancellate dalla concorrenza e dai costi di gestione degli stabilimenti. Per dirla con Angelo Nan, Ceo della Calizzano, 57 milioni di litri trattati nello stabilimento dell’Alta Val Bormida nel 2019 «l’acqua è una cosa ben strana: non costa quasi nulla, ma per imbottigliarla si spende di più che per imbottigliare il barolo».
Anche per l’acqua c’è un prima e un dopo pandemia. Nel 2019 le due aziende liguri ancora sul mercato, la savonese Calizzano e l’imperiese Santa Vittoria, avevano differenti progetti espansione e gli unici grattacapi provenivano da un pronunciamento della Corte dei Conti che, con la parifica dell’anno precedente, aveva costretto la Regione Liguria ad aumentare i canoni demaniali (da 30 a 45 euro per ettaro) e i diritti di captazione, passati da 1 euro a metro cubo di acqua minerale imbottigliata (e i suoi derivati) a 1,5. Oggi è tutto cambiato. In un anno le prospettive sono state stravolte. Non pagano più i diritti di captazione, sospesi a causa del Covid, ma come per tante altre aziende è una lotta quotidiana per la sopravvivenza. La Calizzano, che con le sue bottiglie di vetro aveva come punto di riferimento la ristorazione (che assorbiva il 65% del prodotto) ha avuto un tracollo: l’impianto gira al 50%, i 35 dipendenti sono in cassa integrazione all’80%. Nell’ultimo anno «normale» il fatturato era di circa 6 milioni di euro, ridotto del 24% nel 2020; e chiusa la prima trimestrale di quest’anno si parla già di un calo del 52% e 20 milioni di litri in meno trattati.
Finanziamenti in vista da parte della Regione Liguria non ce ne sono. «Non possiamo sostituirci al mercato – osserva l’assessore alle attività produttive Andrea Benveduti –, ma se c’è la volontà di potenziare il settore, si può avere spazio nella prossima programmazione dei fondi Fse».
Acqua nel deserto
Nel Corano si legge: «E nell’acqua che Dio fa scender dal cielo (…) vi sono Segni per gente dotata d’intelletto». Così provoca più di una suggestione che, a marzo 2020, la Vallechiara di Altare (Lipiani e Fonte del Lupo) sia stata acquistata da una società che fa capo allo sceicco Al Quasimi degli Emirati Arabi. Cinque milioni di investimento tra acquisto e ristrutturazione dello stabilimento e un business plan che prevede che il 50% della produzione finisca negli alberghi dello sceicco, negli Emirati. La Vallechiara era fallita nel 2017. Nel 2020 è arrivata la Beta Consulting Srl e per lo stabilimento di Altare si sta aprendo un nuovo capitolo: «Il Covid ha provocato ritardi sulla tabella di marcia, ma siamo ormai pronti. Tra poco cominceremo ad installare la nuova linea Pet per l’imbottigliamento di 15 mila litri all’ora. Poi entreranno in funzione le linee per il vetro e per il tetrapak, come ci ha richiesto la linea aerea Emirates», spiega Tarek Khamis, amministratore unico della Beta Consulting.
C’è un’altra fonte che potrebbe tornare a produrre nel giro di poco tempo: è l’Argentiera in Alta Val d’Orba, tra Urbe e Sassello. Operazione condotta dall’imprenditore monegasco Claudio Melotto, aostano d’origine e proprietario della Comenii Aquae Srl. E come per l’acqua di Altare, anche quella del Faiallo, accompagnata da analisi chimiche e organolettiche che la collocano ai vertici delle classifiche delle acque minerali europee, potrebbe finire sul mercato mediorientale. —