La Stampa, 20 aprile 2021
Il punto sulla Turchia
Il Bosforo si increspa irrequieto, come se fosse conscio della notizia che ben presto non sarà più l’unica via per raggiungere il Mar Nero e perderà il privilegio che ne ha fatto per millenni la preda più ambita di tutti gli imperi. Recep Tayyip Erdogan ha ripreso un’idea di Solimano il Magnifico e dopo 500 anni vuole scavare un canale a Ovest di Istanbul e creare uno stretto parallelo lungo 40 chilometri, per triplicare i traffici e gli introiti. E soprattutto entrare a pieno titolo nella storia. La grande moschea che ha fatto costruire tra mille polemiche e domina il paesaggio sul lato asiatico non basta più. Come non basta il nuovo mega aeroporto che un giorno porterà il nome del presidente turco. Vuole lasciare un segno più tangibile, «visibile persino dallo spazio». Ma mentre i progetti colossali si moltiplicano, cresce il malcontento, l’irritazione per il denaro che poteva essere utilizzato meglio. Il Covid ha esasperato una crisi economica già latente, la lira in un anno ha perso un quarto del valore nei confronti del dollaro, nonostante «i 180 miliardi di riserve valutarie spese per sostenerla», come accusa l’opposizione. E anche sul fronte internazionale infuria il maltempo, da «nessuno nemico alle frontiere» si è passati a conflitti a ripetizione, ultimo, e il più inaspettato, quello con l’Italia dopo il sofagate con Ursula von der Leyen e le dichiarazioni di Mario Draghi.
Peggio di Gezi Park
La seconda Roma patisce il colpo come neanche «dopo il golpe» del 2016 o «ai tempi di Gezi Park» le proteste del 2013. Le porte del Grande Bazaar che non si chiudevano dai tempi del terribile incendio del 1701 sono sbarrate per il coprifuoco che comincia alle sette di sera del venerdì e finisce all’alba del lunedì. A Sultanahmet, davanti a Santa Sofia ritrasformata in moschea, la babele di lingue europee e asiatiche è stata sostituita dall’accento slavo dei gruppetti di russi e ucraini. Nei fine settimana, quando vige un coprifuoco totale per 60 ore, i turisti sono gli unici autorizzati a circolare, nonostante la terza ondata di coronavirus sia la peggiore. Possono entrare con un tampone negativo e un codice a barre che autorizza gli ingressi nei musei. Il bisogno di valuta straniera è troppo forte e per parecchi mesi il governo ha usato anche un trucchetto per ridurre l’impatto mediatico. Venivano contati soltanto di casi sintomatici e in questo modo si “abbellivano” i dati. Quando si è tornati al metodo normale la curva si è impennata in maniera mostruosa, fino ai 60 mila casi al giorno di adesso.
Tutte le carte sono puntate sui vaccini. Il piano procede più spedito che in Europa, con 20 milioni di dosi in totale. Ankara si è affidata prima al cinese Sinopharm, subito disponibile, ma poi si è procurata a scanso di equivoci anche cinque milioni di dosi di Pzifer, “il vaccino dei vip” come viene definito perché è destinato prima di tutto agli ospiti stranieri, poi a categorie “privilegiate”. L’obiettivo, come in Italia, è salvare a tutti i costi la stagione estiva, come in parte è riuscito l’anno scorso. Il turismo vale il 13 per cento del Pil e nel 2020 l’economia, per merito delle riaperture a partire da giugno, è cresciuta seppur di un risicato 1,8 per cento. Le certezze però sono poche. Nessuno sa se basteranno i lockdown nei fine settimana, o ne servirà uno totale, come un anno fa. O quale sia l’efficacia dei vaccini cinesi. L’impatto delle turbolenze internazionali.
Lo stesso mare
Lo scontro con l’Italia, sottolineano fonti diplomatiche, è stato vissuto con disagio, perché il nostro è considerato «un Paese amico», a tutti i livelli, e la risposta «è stata molto più contenuta rispetto a quelle nei confronti di Emmanuel Macron» che si era guadagnato l’appellativo di «psicopatico».
Erdogan ha replicato a Draghi e gli ha dato del «maleducato» soltanto «dopo sei giorni» in un contesto di basso profilo «e rivolto al pubblico interno, durante un incontro con studenti», senza stampa straniera. La volontà è quella di far rientrare l’incidente al più presto. L’Italia è stata nel 2020 il primo investitore diretto, l’interscambio prima dell’epidemia era arrivato a 20 miliardi annui. Il sentimento di essere «popoli cugini», uniti dal Mediterraneo, è palpabile nel quartiere residenziale di Besiktas. Prima del coprifuoco i ragazzi si prendono qualcosa da mangiare, e da bere, al volo, nelle vie che scendono ripide verso l’imbarcadero sul Bosforo. Il benvenuto all’ospite italiano è caloroso, qualcuno, come Eyup, studente in ingegneria, azzarda che Draghi «ha fatto bene a chiamarlo dittatore». Ma i più danno la colpa alla «politica», che ingigantisce le cose a uso interno. Per Caner, 22enne studente in Storia, «Italia e Turchia sono alleati naturali nel Mediterraneo orientale, e anche in Libia». Siamo nello «stesso mare» e lo indica lì davanti il Bosforo, con i traghetti che corrono, i gabbiani che vanno a sbattere nel cielo plumbeo come le sagome delle navi militari, anche americane, che si dirigono verso l’Ucraina. Dal mausoleo alle spalle dell’imbarcadero il pirata Barbarossa osserva perplesso. In gioco c’è il futuro di una nazione che forse vuole tornare impero. E dei suoi cittadini che prima di tutto non vogliono perdere le libertà. —