Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  aprile 20 Martedì calendario

Il declino del Masaniello a cinque stelle

Si può comprendere un padre addolorato che vuole difendere il figlio, tuttavia la grossolana, addirittura volgare intemerata di Beppe Grillo sui “social” sembra qualcosa di diverso: è lo sfogo senza ritegno di un personaggio pubblico, addirittura il capo storico di un movimento che voleva cambiare l’Italia ed è tuttora maggioritario in Parlamento. Un simile personaggio dovrebbe sentirsi tenuto a un certo autocontrollo e al rispetto delle istituzioni, compresa la magistratura. Viceversa Grillo, giustizialista principe per anni, nel corso dei quali ha costruito il M5S sul dileggio degli avversari e su accuse infamanti, raramente dimostrate, si scopre oggi garantista, diciamo così, e attacca con asprezza i magistrati che potrebbero rinviare a giudizio il figlio per reati sessuali.
È fin troppo facile cogliere la contraddizione con la storia opaca del movimento più forcaiolo degli ultimi decenni. Ed è inevitabile vedere il risvolto politico di quella scomposta arringa.
Il vecchio comico che si scaglia contro le procure e tenta d’infangare la ragazza che ha denunciato il presunto abuso – secondo il più tipico stereotipo maschilista – tradisce un inquietudine che incrocia il marasma in cui si agitano i Cinque Stelle. Il movimento non è più di Grillo, ma non è ancora di Conte o di qualcun altro e forse non lo sarà mai. La parabola sembra essersi conclusa.
Come sospinti da un’onda lunga, i voti ci sono ancora, sia pure ridotti alla metà di quelli di un tempo, ma appaiono privi di un orizzonte, di una guida, di un senso. Carte bollate, querele, risse e frustrazioni... In fondo anche l’inverosimile video trasmesso ieri è parte del declino generale di un uomo che ha accumulato un enorme potere e poi, moderno Masaniello, ne è stato travolto.
Difficile credere che lo sconquasso non abbia effetti sulla politica. È evidente che la pacifica trasformazione del movimento di Grillo nel partito di Conte, “né di destra né di sinistra” e riverniciato di verde, non sta riuscendo.
Peraltro il progetto del Pd, anche nel passaggio da Zingaretti a Letta, prevede un’alleanza con un M5S pacificato e anzi normalizzato. Se invece quel che resta del “grillismo” diventa preda di una furia autodistruttiva, l’intera strategia del centrosinistra andrà riconsiderata. Magari con la riscoperta di un’anima riformatrice che l’abbraccio con i Cinque Stelle aveva offuscato.
Le occasioni non mancano. Una volta che il Covid sarà sotto controllo grazie al successo, lento ma inesorabile, delle vaccinazioni di massa, il centro del dibattito pubblico diventerà il Recovery Plan. Non più il dissidio rigoristi contro aperturisti, pro o contro Speranza, bensì come riuscire a essere protagonisti di un disegno riformatore.
Per la verità già adesso i partiti in cerca di credibilità avrebbero dovuto aprire una vera discussione sul rinnovamento del Paese. Invece si è prodotta una specie di frattura fra Draghi, che prepara le linee del Recovery in base a un’idea dell’Italia nel prossimo futuro, e le forze politiche deboli, spesso prigioniere di schemi inconsistenti. Il caso Grillo è emblematico, ma si potrebbero fare altri esempi in entrambi gli schieramenti. Così il governo va avanti appoggiandosi al prestigio del premier più che al sostegno che gli viene dai partiti. E non è un caso se il ministro più vicino a Draghi sia forse Giorgetti: leghista ma certo non espressione di Salvini. Chissà se prenderà forma anche un Giorgetti del centrosinistra.