Il Sole 24 Ore, 18 aprile 2021
Basta stereotipi su Sparta e Atene!
Sparta e Atene: una di quelle coppie in cui la “e” disgiunge più che non unisca, e comunque sta lì a indicare un parallelismo consolidato, necessario, addirittura ancestrale. Un parallelismo che, fin dall’antichità, si è fissato in antitesi, e che può ricordare il moderno contrasto tra destra e sinistra, sia per la valenza archetipica sia per la capacità di suscitare faziosità. Sparta monarchica e repressiva, Atene democratica e liberale; Sparta dura e disadorna, Atene molle ed elegante; Sparta senza monumenti, Atene con l’Acropoli; e via contrapponendo. Eva Cantarella, in un nuovo saggio, intitolato appunto Sparta e Atene. Autoritarismo e democrazia (Einaudi), si dà il non banale compito di illuminare in poco meno di duecento pagine il senso di ciascuno dei due termini, consapevole che le rappresentazioni tramandate non sono facilmente distinguibili dalla verità storica, ma senz’altro decisa a far piazza pulita fin dalle prime righe dei clichés, dei pregiudizi e delle antinomie meccaniche.
La vastità del campo d’indagine, che costituisce uno dei settori più attivi dell’antichistica, non la paralizza in alcun liturgico metter le mani avanti (se togliamo il solo avvertimento che il libro non è per specialisti) né la costringe a scorrazzare inconcludente in ogni direzione. Nell’intento di produrre qualche punto fermo, pur nella varietà dei temi, delle questioni e degli orientamenti critici, il suo metodo combina magistrali incursioni nel diritto con un’istintiva inclinazione alla sintesi, alla chiarezza e all’analisi del caso specifico, non per questo cancellando sfumature e dubbi. I ragguagli storici sono ridotti a un essenziale quadro delle origini e del quinto secolo a. C. e il discorso si concentra su alcune aree concettuali, o rubriche, di quelle rendendo conto in efficaci consuntivi: le istituzioni, il sistema giuridico, le magistrature, le classi sociali, la famiglia, l’educazione, i ruoli sessuali degli uomini e delle donne, sia giovani sia adulti.
Le fonti sono anzitutto i testi degli antichi (storici, comici, lirici, filosofi), ma non mancano riferimenti ai lavori di studiosi moderni, che operano soprattutto in area anglosassone e francese. Lungi dall’appesantire la lettura, le citazioni di ques ti ultimi si intonano con grazia alle esigenze del ragionamento, infondendo alle interpretazioni il respiro della ricerca internazionale.
Sulle questioni di sesso, che ha già trattato autorevolmente in altri studi, Cantarella propone non solo persuasivi riepiloghi, ma anche qualche nuova ipotesi. Suggerisce, per esempio, che la pederastia (ovvero quel regolato rapporto omoerotico che affidava la formazione di un giovane a un adulto) fosse istituzione anche di Sparta, e interessasse tutti ragazzi che avessero già compiuto i dodici anni – il che verrebbe a eliminare una a lungo sostenuta differenza tra quella città e Atene. Scopriamo, inoltre, che la donna spartana godeva di uno status più favorevole di quella della donna ateniese: anzitutto, si realizzava più come madre che come moglie, e inoltre poteva ricevere lei stessa, in assenza di fratelli, l’eredità paterna. La donna ateniese, invece, non ereditava nulla e, in mancanza di fratelli, era costretta a sposare il parente più stretto perché l’eredità non cadesse nelle mani di estranei.
Il libro si sviluppa con agili movenze plutarchee: prima Sparta, poi Atene; e infine la sýnkrisi s, il confronto. L’apporto più originale e più affascinante della trattazione sta proprio nella conclusione: che le due città si assomigliavano assai più di quanto molta storiografia e molta mitizzazione non ci abbiano portato a credere. Le differenze, certo, non mancavano, ma riguardavano più i modi della vita collettiva che non i valori o il senso della comunità o perfino la concezione dell’eros. Sentiamo le parole dell’autrice: «La diversità che ha indotto per millenni a farne due modelli antitetici non è fondata su una valutazione complessiva delle istituzioni politiche e sociali delle due città. È un’antitesi costruita sulla valutazione delle differenze in singoli aspetti delle loro istituzioni politiche e sociali, nessuna delle quali è incompatibile con la loro appartenenza al modello che le accomunava, e quindi al mondo di quelle poleis le cui risse, rivalità e guerre sono state una costante dell’intera storia greca». Perché allora Sparta e Atene sono diventate emblemi di due visioni radicalmente diverse? Semplice, ci spiega Cantarella: perché si scontrarono in una lunga guerra, la cosiddetta guerra del Peloponneso, in cui ciascuna intendeva diventare la polis (città-stato o meglio stato-città) più importante di tutta la Grecia.
Chiude il volume un’appendice sull’uso moderno del modello ateniese e di quello spartano. Con il solito dono della concisione Cantarella indica alcuni episodi rappresentativi, che vanno considerati in una tradizione tutt’altro che trascurabile della nostra storia culturale e politica. Ecco la contrapposizione tra il filoateniese Voltaire e il filospartano Rousseau; ecco lo spartanismo dei nazisti; ecco, negli anni della Guerra fredda, gli Usa identificarsi con Atene e dare all’Urss il ruolo di Sparta; ed ecco pure Trump che si fa bello con un generico «Oh, do I love the Greeks...».
Proprio così: i greci, spartani o ateniesi che siano, servono a tutti: a chi pensa e a chi non pensa, agli illuminati e agli oscurantisti, agli specialisti e ai profani. Servirebbero molto di più, però, se se ne intendessero le ragioni complesse e la distanza storica, fuori delle banalizzazioni e delle propagande, come dimostra con il suo stesso procedere questa affabile e istruttiva introduzione.