Il Sole 24 Ore, 18 aprile 2021
Democrazia aperta e false soluzioni
La componente liberale delle democrazie, secondo il «Democracy Index» pubblicato dall’“Economist Intelligence Unit”, è in crisi. Secondo la «Brookings Institution», il potere si sta concentrando sempre più negli esecutivi, e quindi divenendo sempre meno democratico. È dal 1975 che viene segnalata una crisi della democrazia. Quell’anno fu pubblicato il rapporto sulla governabilità delle democrazie della «Trilateral Commission», intitolato proprio The Crisis of Democracy. Dopo è stato segnalato che c’è una ridefinizione in corso dei legami politici tra governanti e governati, un’erosione del capitale di fiducia, un fossato aperto tra rappresentanti e rappresentati (Jacques Chevallier, L’État post-moderne, III ed., Paris, L.G.D.J., 2017). L’elemento più preoccupante di questa crisi sta nel fatto che viene eroso il patrimonio che la democrazia ha ereditato dal liberalismo perché liberalismo, democrazia e socialismo sono andati confluendo in uno stesso alveo, e gli istituti liberali costituiscono la base della democrazia.
Questo libro è l’ultimo importante contributo allo studio di questa crisi. È condotto in termini sia di storia delle dottrine politiche, sia empirici. Ha presenti, infatti, alcune importanti esperienze di democratizzazione, quali il grande dibattito francese del 2019; la convenzione sul cambiamento climatico, sempre francese, del 1919-1920; un esperimento finlandese, del 2012-2013, di “crowdsourcing”; principalmente l’esperimento islandese di riforma costituzionale del 2010-2012.
Il libro parte dalla crisi della democrazia rappresentativa, illustra il mito della democrazia diretta, spiega come si può superare il sistema della democrazia elettiva, illustra i principi della democrazia aperta e la sua attuabilità, ne esamina l’applicazione al mondo globale. Landemore muove alla ricerca di una forma di democrazia non elettorale e di nuove forme di partecipazione, per rendere il potere ugualmente accessibile a tutti e passare dal consenso del popolo all’esercizio del potere all’esercizio diretto del potere da parte del popolo. Propone, di conseguenza, un sistema in cui il personale politico sia selezionato in base a sorteggio e sottoposto a rotazione, oppure composto di assemblee auto selezionate, cioè volontarie. Landemore vede il potere decentrato, con una moltiplicazione di piccole assemblee, come le giurie popolari, composte di 50 persone o meno, a tutti i livelli del potere, eliminando così i politici di professione e gli esperti. Per l’autrice l’estrazione a sorte e la rotazione non impediscono di acquisire capacità e competenze dall’esterno ma, insieme con la partecipazione volontaria, possono consentire a tutti di esercitare il potere pubblico, specialmente se si ricorre al “crowdsourcing”, cioè allo sviluppo collettivo di un progetto da parte di una moltitudine di persone, una esternalizzazione di una parte della funzione da parte delle mini-assemblee. Per Landemore, tuttavia, questo è uno solo degli elementi della democrazia, perché devono esserci anche partecipazione, dibattito, decisione maggioritaria, rappresentanza e trasparenza, nonché la possibilità di ricorrere alla democrazia referendaria.
Sono molti gli interrogativi che solleva una proposta democratica di questo tipo, pur intelligentemente argomentata (l’autrice considera e dibatte solo una parte di essi). Occorre considerare il tasso di scolarizzazione e il livello di sviluppo della società. Non tutti sono interessati a prendere parte attiva alla vita politica. È difficile governare un Paese con una rete così diffusa di poteri, perché non si tratta di prendere una singola decisione, ma di assicurare una complessa e continua attività di governo. Non tutta l’attività dello Stato può essere così minutamente decentrata. Occorre tener presente il problema delle dimensioni, perché altro è l’Islanda, con i suoi 329mila abitanti, altro un Paese con 60 milioni o con più di un miliardo di abitanti. Non basta prendere singole decisioni democratiche, occorre assicurare alla democrazia una durata pluriennale.
Una rete di piccoli collegi i cui membri sono sorteggiati o partecipano a titolo volontario sembra una riedizione dell’idea comunista dei “soviet” e della socializzazione del potere, che mirava a “sciogliere” lo Stato nella società.
Landemore sfiora soltanto brevemente il tema di fondo. È vero, chiamiamo democrazie delle oligarchie corrette e tenute sotto controllo da periodiche elezioni. Ma, accanto ad istituzioni democratiche, negli ordinamenti democratici, vi sono numerose altre componenti. Ad esempio, la Costituzione italiana inizia disponendo che l’Italia è una Repubblica democratica, ma prevede che magistrati e impiegati pubblici siano scelti mediante concorso, non con elezione. Quindi, non tutta la Repubblica è democratica. Poi, non esiste una sola democrazia, ma più democrazie (comunale, regionale, statale, europea). Il potere di ogni centro di potere è sottoposto al controllo di altri organi o da questi bilanciato. L’autorità non è concentrata, ma divisa. Il popolo, inteso come insieme di votanti, è solo uno degli organi che esercitano potere politico. Questa è la ricchezza della democrazia.