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 2021  aprile 18 Domenica calendario

Le nevrosi di Claudio Santamaria

Il trentenne in fuga di L’ultimo bacio e il Sopravissù de Gli anni più belli. Il Penthotal di Paz!, il gigante fragile di Lo chiamavano Jeeg Robot e il padre inadeguato di Tutto il mio folle amore. Claudio Santamaria ha consegnato personaggi credibili segnati da disagi e problemi psichici. Perciò Lo Spiraglio, Fondazione Roma Solidale Onlus, lo premia al Festival della salute mentale, online oggi su MyMovies. L’attore è nella casa milanese, «sto scrivendo il soggetto di un film con mia moglie Francesca (Barra, ndr), non posso dire altro».
Si ritrova nella motivazione del premio?
«Molto. Ci siamo sempre cercati, con i personaggi che hanno nevrosi profonde, un cattivo rapporto con la realtà, che vivono un’emarginazione a volte autoinflitta. Ti fanno esplorare lati oscuri della tua emotività, per poi farli trovare a chi ha quelle stesse nevrosi, aiutandolo a iniziare un percorso, o anche solo avendo un dialogo con chi non trova interlocutori nel mondo reale. Ho scelto spesso personaggi che somigliavano a ciò che vivevo nella vita in quel momento».
Ad esempio?
«L’ultimo bacio, il personaggio che soffre di questo suo desiderio di fuga da un mondo che lo opprime, che non vuole invecchiare e che, dieci anni dopo, troviamo schizoaffettivo e sotto psicofarmaci. Quel personaggio mi ha fatto crescere, oltre a farmi conoscere dal grande pubblico. E poi Paz!, dai fumetti di Pazienza, un personaggio che vive un distacco dal mondo, anche se dentro ha tanto. Anch’io ho cercato il modo di esprimere quel che non riuscivo a tirare fuori nella vita. Questo mestiere è stato ed è terapeutico. E poi Enzo Ceccotti di Lo chiamavano Jeeg Robot, senza famiglia e senza più amici che cerca affetto nei budini e nei film porno e che trova il suo riscatto attraverso il femminile che arriva a mostrargli che il mondo può essere bello e aiutare gli altri è importante per se stessi, che può far riaccendere una luce. Il cinema serve a questo, ad accendere delle luci. È stato importante Rino Gaetano: per anni ho considerato il mio lavoro inutile. Poi un uomo mi ha detto che la sua vita era cambiata con quel film, aveva ricominciato a leggere, affrontato il rapporto con moglie e figlia. Questo ha riacceso in me il fuoco sacro dell’arte».
Da dove arriva la sua solitudine?
«Da una grande sensibilità nel percepire il mondo. Se non trovi riscontri, ti chiudi. Nel tempo scopri che ci sono persone che sono come te. Più vai avanti nella vita più scegli le persone, meno persone frequenti».
Muccino, Salvatores, Mainetti, sono stati incontri importanti.
«Ho infilato tre Gabriele l’uno dietro l’altro. Muccino scrisse il personaggio de L’ultimo bacio per me. Con lui avevo fatto Ecco fatto nel ’97, avevo 23 anni. Mi ha affidato ruoli densi, interessanti, folli. Quello in Tutto il mio folle amore di Salvatores è stato il più emotivo, specie nella scena in cui il padre comunica al pc con il figlio "difficile", ne comprende pensieri, ordine mentale, quel vivere fino in fondo il suo folle amore per il mondo. E poi Mainetti, ci conosciamo da ragazzi. Quando mi mandò il copione di Jeeg Robot dissi "stupendo, il film che aspettavo da sempre, lo dobbiamo fare". E lui, malgrado l’amicizia e la stima, "te devo fa’ il provino però". È stata una costruzione creativa, rigenerante. E poi c’è Freaks out … abbiamo aspettato tanto per uscire in sala, è un film grandioso, merita il grande schermo».
Cosa pensa del ruolo degli influencer e degli artisti rispetto alla politica? In passato lei ha appoggiato il M5S.
«Ora sono molto più dedito al sociale. Durante il primo lockdown con Francesca abbiamo cucinato alla mensa dei Fratelli di San Francesco per senzatetto e famiglie in difficoltà. Darsi a realtà sociali più piccole, essere d’esempio, è più forte che dare il proprio appoggio alla politica che, come ho scoperto nel tempo, è soggetta a cambiamenti non dettati solo da un cambio di ideali o di vedute, ma proprio dal puro opportunismo. Sono rimasto deluso.
È meglio esprimersi su ciò che non funziona e andrebbe migliorato, restando distanti dai politici».
Per esempio il disegno di legge Zan contro la discriminazione?
«Mi avvilisce che ancora in Italia si debba parlare di queste cose. Sono un razzista al contrario, ghettizzerei chi fa della diversità un modo per sfogare le proprie frustrazioni.
Queste persone andrebbero rieducate. Parlavamo della responsabilità degli influencer, ma il ruolo dei politici è importante in questo senso: devono avere estrema sensibilità e larghe vedute. Per fortuna gli influencer, gli artisti, i cantanti, gli attori possono dire la loro e, attraverso ciò che dicono, accendere la famosa luce di cui parlavamo prima. Se uno picchia due ragazzi che si baciano ha la luce spenta, nessuno ha mai acceso la luce in quella persona».
Cosa pensa di chi attacca Alessandro Gassmann per aver denunciato la festa dei vicini di casa?
«Il problema non è Alessandro, ma gli imbecilli che hanno fatto una festa sapendo che non si doveva. La responsabilità personale è la cosa più importante che dobbiamo capire in questo momento. Se questo periodo non ce l’ha insegnato. non so quale evento catastrofico potrà mai farlo».
E della riapertura di cinema e teatri?
«Non sono un medico o uno scienziato: se il comitato ritiene sicura la riapertura dei teatri e dei cinema penso che sia arrivato il momento di farlo».
Com’è stata l’esperienza con Achille Lauro a Sanremo?
«Mi piace la creatività di Achille Lauro, la sua voglia di sorprendere e rimettersi in discussione. In tanti erano contrari, invece il Festival è stato importante sul fronte musicale e per il messaggio di speranza alle persone a casa. Ero stato diverse volte su quel palco, mai da ballerino. Ho condiviso il palco con Francesca, che non è un’attrice ma una scrittrice: era emozionata, anche se è stata più brava di me. Ed eravamo gli unici a potersi baciare».
Ha smesso di fuggire, come il personaggio di "L’ultimo bacio"?
«L’inquietudine, l’irrequietudine, ci sono sempre. Ho trovato una persona che le capisce e le accoglie con amore e le sa placare».