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 2021  aprile 18 Domenica calendario

Il costumista Cantini Parrini si racconta

Il cinema, per Massimo Cantini Parrini, 50 anni, fiorentino, racconta favole e Favolacce, da Pinocchio al film dei fratelli D’Innocenzo, che lui vede come «due dadaisti, persone meravigliose che stravolgono la realtà». Con Pinocchio di Matteo Garrone, Massimo ha vinto il suo quarto David di Donatello (ora ha Miss Marx). E soprattutto è in corsa per gli Oscar, oltre al premio a Los Angeles-Italia, dove il film apre la programmazione. Un costumista italiano l’Oscar non lo vince dal 1971: allora fu Danilo Donati per Casanova di Fellini. Ci sono tante donne pluripremiate, da Milena Canonero a Gabriella Pescucci. Un’altra costumista candidata all’Oscar è stata Antonella Cannarozzi per Io sono l’amore di Guadagnino, anno 2011. 
Massimo, il suo è un mestiere per donne? 
«Numericamente sì, come lo è tutto ciò che è mondo della moda, a parte alcuni grandi stilisti. Ma ormai sono mestieri equiparati, un po’ come in cucina dove gli chef più famosi sono uomini». 
Come gestisce l’emozione della vigilia degli Oscar? 
«I premi sono un punto di partenza e non di arrivo, io continuo a raccontare quello che c’è scritto in una sceneggiatura. La candidatura? Ero a pranzo con la mia assistente e il telefonino impazzì: auguri, congratulazioni. Pensavo che fosse per il mio onomastico. Poi l’annuncio ufficiale da un numero sconosciuto. Sono rimasto con i piedi per terra, in un momento così brutto per la pandemia, con tanti amici che fanno lavori semplici, non mi va di esaltarmi». 
Com’è stato vestire un burattino di legno? 
«Le proporzioni sono diverse, ma erano quasi tutti persone minute travestite da burattini. Ho ricreato la Commedia dell’Arte, per una idea favolista; e ho usato stoffe antiche. Per Pinocchio ho scelto il rosso: ha tutti i sentimenti, rabbia, amore, passione». 
Come ha cominciato? 
«Mia nonna lavorava a Firenze alla sartoria Mattolini, che era della mamma del regista teatrale Marco Mattolini. Conduzione familiare, tante donne che ridevano, parlavano, urlavano. Ci andavo dopo scuola. I colori, le stoffe che su un manichino diventavano tridimensionali…La mia passione per il costume è antropologica. Attraverso il vestito capisci l’architettura, la pittura di un’epoca». 
L’abito è ancora uno status symbol? 
«No, non lo è più. Lo è il cellulare». 
I suoi genitori l’hanno incoraggiata? 
«Mia madre, che lavorava all’Inps, e i miei nonni materni mi hanno sempre incoraggiato. Ho frequentato Moda e Costume all’Istituto d’arte, il Polimoda che mi ha dato le nozioni di taglio e cucito, Lettere all’università con indirizzo Costume e il Centro Sperimentale dove ho avuto come maestro Piero Tosi». 
La grande scuola di Visconti. Ma è vero che Tosi la bocciò alla prova di disegno?
«No, anzi…Ci fu una discussione perché non azzeccavo le proporzioni e per tre volte mi strappò il foglio. Alla quarta gli dissi: ora mi deve spiegare. Lui ascoltando il mio accento disse: questo è toscano come me, duro come il marmo. All’orale lo spiazzai, mi rovesciò una scatola di bottoni facendomi indovinare le epoche e non ne sbagliai una. Mi disse di avermi preso perché ho carattere, sei l’unico che mi ha risposto». 
All’epoca non esisteva la tecnologia.
«La manualità e il disegno come modo espressivo devono resistere. Piero Tosi era un insegnante speciale, non erano lezioni di costume ma racconti di esperienze che aveva vissuto. Se l’amore per la ricerca storica va a scapito dell’astrazione? No, l’astrazione è bellezza. Cerco sempre l’essenza, mai la frivolezza». 
Poi l’esperienza alla grande sartoria Tirelli. 
«Il mio apprendistato di tre anni, fu come entrare nella tomba di Tutankhamon, quando tiravano giù i costumi di Morte a Venezia o di Amadeus ero nel paese dei balocchi…A 14 anni riuscii a conoscere Umberto Tirelli alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti, mi scrisse una dedica sul libro della sua Donazione: Resistere resistere resistere, si ottiene tutto se viene dall’amore. Con la Tirelli, da tanti anni nelle mani di Dino Trappetti, ho appena lavorato a Cyrano di Joe Wright. In passato sono stato assistente di Gabriella Pescucci che mi catapultò in un mondo internazionale. Il mio primo film con lei è I miserabili con Uma Thurman e Liam Neeson». 
È un collezionista? 
«Ho 4000 costumi d’epoca, dal 1630. Le stoffe che prediligo? Lino, seta, cotone, quello che viene dalla natura». 
Massimo, lei come veste? 
«Tutti capi eguali, neri o blu».