Corriere della Sera, 18 aprile 2021
Vincenzo De Luca, la bizzarria al potere
Non è arrivato a dire «Io sono la via, la verità e la vita». Ma quasi. E non ha aggiunto «abbiate fede in me». Semplicemente, più che laicizzare le cose, lui che ha ripetutamente parlato di miracolo campano a proposito di lotta al Covid, ha piuttosto provato ad attualizzarle. Testuale di Vincenzo De Luca: «Sospendete ogni informazione, abbiate fiducia in me, la verità ve la racconto io, e siatene orgogliosi». Questo ha dunque detto un governatore che da circa un anno, ormai, non risponde a una domanda e non convoca una conferenza stampa, lamentando continue aggressioni mediatiche. Ma quando un pensiero che dovrebbe essere politico, logico e razionale slitta verso toni che sono invece iperbolici, mitologici e teologici non c’è più nulla da ridere. Bisognerebbe piuttosto, come suggerisce lo storico Paolo Macry sul Corriere del Mezzogiorno, cambiare registro, perché quello che parla così non è un comico, non è Crozza, ma è il presidente della terza regione italiana per popolazione. Se il regionalismo è in crisi, poi, questa è una ragione in più, non in meno, per evitare che una interpretazione macchiettistica di De Luca si trascini dietro, con il titolo V della Costituzione, anche gran parte del nostro prezioso sistema delle autonomie.
C’è una data, nella sua vita istituzionale, che segna un prima e un dopo. È il 27 dicembre dell’anno scorso, una domenica. Si officia il Vaccino day e le prime dosi disponibili sono riservate al personale sanitario, ma a sorpresa De Luca si presenta al Cotugno, l’ospedale delle malattie infettive di Napoli, e si fa somministrare l’anticovid. Il Papa, Mattarella e Draghi lo faranno solo molte settimane dopo, quando verrà il loro turno. Di fronte alla foto del governatore che offre il braccio all’infermiere il disappunto si insinua anche tra le schiere dei supporter. È questo il momento in cui il meccanismo si inceppa. De Luca, invece, crede di aver acquisito, con quella virale, anche una sorta di immunità assoluta, per cui dice e fa tutto quello che l’opportunismo gli detta. Fino ad allora – anche per ragioni oggettive – le sue azioni erano state valutate al pari di quelle di Zaia, cioè al top. Dopo, invece, è tutto un precipitare. E più la considerazione pubblica cala, più il governatore esagera. Non solo nei toni delle esternazioni, ma anche nella scelta dei bersagli polemici. Venerdì scorso, in un solo colpo, attacca il capo dello Stato, il capo del governo e il commissario all’emergenza. Tutti indifferenti alle discriminazioni contro la Campania nella distribuzione delle risorse, dei vaccini, del personale sanitario e perfino delle classificazioni cromatiche determinate dall’algoritmo. Troppo, anche per il segretario del Pd. Ospite di Formigli su La7, Letta lo invita implicitamente a calmarsi. Ma il giorno dopo, De Luca quasi gli fa il verso. Sì, vada per la responsabilità, ma non senza ribadire che la distribuzione dei vaccini «è una vergogna nazionale», un atto di «delinquenza politica». È l’effetto collaterale della super- immunità? Vede gli altri ma non ha coscienza di sé? Quando Letizia Moratti propose di vaccinare prima la Lombardia e poi il resto del Paese, De Luca rispose che «distribuire le dosi alle Regioni in base al Pil sarebbe stata una barbarie». Ma poi è lui ad annunciare la stessa cosa in chiave locale, ovvero che in virtù del Pil turistico Capri e Ischia avrebbero avuto la precedenza su gli altri Comuni.
De Luca si propone come il governatore dei miracoli, ma non spiega perché la sua regione è stata tra quelle più a lungo in rosso, con il più lungo periodo di scuole chiuse e, di recente, con la più alta percentuale di contagi. Allora a cosa è servito, si è chiesto il filosofo Biagio de Giovanni, un potere regionale organizzato come un «centro direzionale unico»? De Luca tiene per sé, oltre a quelle per i trasporti e i lavori pubblici, anche le deleghe alla sanità e alla cultura. Per cui – a proposito dì illogicità – in Campania manca un assessore che possa occuparsi della pandemia, ma in compenso c’è una pletorica e sfuggente Unità di crisi, tutta o quasi precocemente vaccinata.
E nel mentre si occupa di tamponi e terapie intensive, il governatore provvede anche alle nomine culturali. Gli ultimi prescelti, ad esempio, sapranno di sicuro distinguere una bottiglia di Morandi da una Brillo Box di Andy Warhol. E magari avranno anche letto La trasfigurazione del banale di Arthur C. Danto. Ma cosa ci fanno un prete impegnato nel sociale e un politico in carriera nei comitati scientifici dei principali musei campani? Insieme con loro, poi, cosa fanno, nella stessa posizione, una dirigente regionale che si occupa di fondi pubblici e il presidente di una società «in house» della Regione? E perché si sono invece dimessi autorevoli componenti del comitato scientifico del Madre? Arthur Danto diceva che un’opera d’arte poteva distinguersi da una semplice cosa solo per la sua capacità di esprimere «l’interiorità di un periodo culturale» e di essere «specchio della coscienza dei nostri re». Ma diceva re, non governatori regionali.