Robinson, 17 aprile 2021
Casa Balla
Fogli di carta da pacchi, da lettere, millimetrata a mano, velina. Fogli accartocciati, spesso incollati tra loro con colle di fortuna per creare superfici più grandi, disegnati talvolta recto-verso, a grafite, tempera, pastello, inchiostro. Per molti decenni un consistente gruppo di schizzi e bozzetti di Giacomo Balla è rimasto, dimenticato e nella quasi totalità inedito, nell’appartamento di via Oslavia, a Roma, dove il pittore visse con la moglie Elisa Marcucci e le figlie Luce ed Elica dal 1929 alla morte, nel 1958, all’età di 87 anni. Non una casa lussuosa, anzi, un esempio di edilizia popolare che Balla trasformò in una casa- mondo, studio e abitazione insieme, opera d’arte totale dove tutto – le porte, le pareti, ogni singolo arredo e persino gli strumenti del suo mestiere d’artista – proveniva dalle sue mani e, man mano che si facevano adulte, da quelle delle due figlie, anch’esse pittrici, designer, sarte, ricamatrici. Negli anni Novanta, alla morte di Elica e Luce, su via Oslavia è calato il silenzio. L’appartamento, di proprietà degli eredi Balla, è passato insieme a ciò che contiene sotto il vincolo della Soprintendenza Speciale di Roma nel 2004, e si è avviata così una nuova stagione che ora dà tra i suoi frutti il restauro di questi materiali grafici: 85 pezzi di cui 62 disegni, progetti e bozzetti e 23 manifesti relativi a mostre dell’artista; anche gli eredi del pittore hanno voluto contribuire a finanziarlo.
Come sottolinea Daniela Porro, a capo della Soprintendenza romana, il progetto è parte di un’azione articolata, «volta a comprendere meglio uno degli artisti fondamentali del nostro Novecento». La prima tappa è stata, nel 2017, il ritrovamento e il restauro, con la Banca d’Italia nei cui locali si trova oggi, della parete decorata del Bal Tic Tac, il locale futurista ideato da Balla e inaugurato in via Milano proprio un secolo fa, nel 1921. Poi dal 2020 si è effettuato il recupero conservativo dei disegni, oggi in fase ultimativa, e quello delle carte personali dell’artista, affidato alla Sovrintendenza archivistica. A metà giugno seguirà una prima apertura dell’abitazione di Balla al pubblico, durante i weekend, in corrispondenza dell’inaugurazione al museo Maxxi di Casa Balla, la mostra dedicata (fino a novembre) alla centralità dell’artista nel panorama delle arti applicate del secolo scorso e alla sua eredità di suggestioni e pratiche presso artisti e designer contemporanei, come Ila Beka & Louise Lemoine, Patricia Urquoia, Carlo Benvenuto. A testimoniare di un rinnovato fermento intorno a Balla (il 2021 marca i 150 anni dalla nascita), si è aperta sempre a Roma, alla Galleria Russo, Giacomo Balla. Dal primo autoritratto alle ultime rose.
Curata da Fabio Benzi, conta 80 opere in gran parte provenienti dalle collezioni degli eredi Marcucci, molte mai esposte prima.Ma cosa raccontano i “pezzi di vita” che Balla affidava a carte povere e di riuso recuperati nella casa dell’artista? La storica dell’arte Roberta Porfiri, che insieme a Carlo Festa ha curato il restauro per la soprintendenza, non ha dubbi sul fatto che aiutino a conoscere meglio la traiettoria balliana.
«Nei disegni c’è tutto il suo mondo. Così come la sua casa rappresentava per Balla l’estrinsecazione di se stesso, così i disegni testimoniano un processo creativo incessante e continuo». Una volta che i fogli saranno di nuovo tutti posizionati in via Oslavia, in speciali cassettiere che ne permettano la consultazione agli studiosi, andranno insieme alle carte personali di Balla a costituire un vero e proprio archivio: «Come tutti sappiamo, Balla è stato oggetto di una parziale damnatio memoriae nel dopoguerra per la sua adesione al fascismo. È tempo di esplorarne la figura appieno, con la giusta distanza storica» aggiunge Porfiri. Figlio di un chimico torinese, appassionato fotografo dilettante, e di una sarta ( come sarà la moglie Elisa) da quando decide di stabilirsi a Roma, nel 1895, a 24 anni, Balla abbraccia un’attitudine avanguardista ancor prima dell’Avanguardia. Sposa il divisionismo e studia – da appassionato di fotografia ma anche di teorie esoteriche e teosofiche – la luce come elemento centrale dell’esperienza pittorica ( una parabola che porta, ad esempio, dall’Autoritratto del 1902 alla Lampada ad arco, oggi al MoMA, del 1911).
Quando abbraccia il futurismo, spinto dall’allievo Boccioni che però morirà nel 2016, diventa Futur-Balla. Produce capolavori come Bambina x balcone eDinamismo di un cane al guinzaglio ( 1912), lavora come scenografo per i Ballets Russes di Diaghilev, teorizza l’applicazione dell’estetica futurista all’abbigliamento e alla decorazione d’interni, inventa la serie delle Compenetrazioni iridescenti, i cicli delle Stagioni, le Trasformazioni Forme e Spirito.Alla fine degli anni Trenta rinnega il futurismo e torna all’arte figurativa, mentre l’aver aderito al regime di Mussolini – dipingerà sul retro di Velocità astratta una monumentale Marcia su Roma – dopo la guerra lo spinge, insieme alle condizioni di salute molto precarie, a un’esistenza sempre più ritirata e lontana dalla vita pubblica del paese. I disegni di questo corpus, che la restauratrice Ilaria Camerini ha recuperato utilizzando una pluralità di tecniche, sono nella quasi totalità non datati e talvolta non firmati. Alcuni progetti per arredi sono riconducibili per tratto non a Balla ma alle figlie. Un bozzetto per le scritte del Bal Tic Tac è tra i rari materiali già noti ed esposti ( al Barbican di Londra per la mostra Into the Night); un altro rappresenta il progetto per un foulard, parecchi individuano le campiture di colore di tele da realizzare.
Con opere nei grandi musei del mondo (il collezionismo americano data agli anni Trenta) oltre che in Italia, e celebrato negli ultimi anni da mostre evento ( basti ricordare quella al Guggenheim di New York nel 2014, dedicata alla traiettoria futurista dal Manifesto di Marinetti del 1909 al 1944), Balla riesce a restare ancora in ombra, come la casa dalle persiane chiuse in via Oslavia. L’attività frenetica su questi pezzi di carta così poveri, da periodo bellico e postbellico, quasi da razionamento, realizzati con strumenti anch’essi autoprodotti, dai pennelli ai cavalletti, ci sussurrano di un uomo ossessionato dalla sua arte fino all’ultimo giorno. Ora è tempo di riconoscere che luce, colore, movimento, così lungamente e genialmente indagati e traslati persino nei nomi delle figlie vestali sono il suo lascito definitivo, al di là della storia dei movimenti artistici e delle appartenenze politiche.