Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2021  aprile 17 Sabato calendario

Max Pezzali e i libri. Intervista

Il primo libro scoperto da bambino?
«Le avventure di Pinocchio». Quando ero piccolo era una lettura obbligata per metterci in guardia dai pericoli del mondo degli adulti.
Nella casa dov’è cresciuto che libri c’erano?
Prevalentemente enciclopedie, ricordo la magnifica «20° Secolo» e «Colorama», entrambe di Mondadori.
E nella sua «cameretta» (apoteosi della vita nerd)?
Oltre alla mia sterminata collezione di fumetti e vinili, l’assoluto protagonista è sempre stato Stephen King. Il Re regna.
Oltre a King, in «Max 90», cita anche Chandler.
King è un gigante assoluto e non sono certo io a scoprirlo, ma l’aspetto della sua scrittura che più mi ha condizionato è la capacità di descrivere dettagli della provincia americana che me ne hanno fatto innamorare. Quando parla dei cracker Ritz o della bicicletta cruiser Schwinn o della vecchia Buick Roadmaster, io visualizzo il mio personale Sogno Americano. E poi è un fanatico harleysta come me. Invece, la Los Angeles crepuscolare di Raymond Chandler è stata fonte di ispirazione di un mio idolo musicale di sempre, Stanard Ridgway, primo cantante dei Wall of Voodoo, e la mia visione della megalopoli californiana ne è stata profondamente condizionata.
Il libro più amato della vita?
«Strategie Oblique» di Brian Eno. È una specie di manuale per aiutare i musicisti a superare il «blocco dello scrittore»: pescando una delle 124 frasi apparentemente casuali come fosse una carta da gioco ed eseguendone il contenuto, si rimette in moto il processo creativo attraverso una strada nuova ed imprevedibile.
Il più noioso che non è mai riuscito a finire?
L’«Ulisse» di Joyce. Lo ammetto, probabilmente è un mio limite o forse non era il momento giusto per leggerlo, ma non ce l’ho fatta. Vorrei riprovarci.
Quello che cita senza averlo letto?
Una delle mie citazioni preferite è «c’è del marcio in Danimarca» dall’«Amleto» di Shakespeare che non conosco assolutamente.
Quale eroe di romanzi le piacerebbe essere?
Harry Bosch, il poliziotto protagonista dei romanzi di Michael Connelly: detective della vecchia scuola che si muove in una Los Angeles decadente e chandleriana. Personaggio meraviglioso.
Il momento della giornata migliore
per leggere?
Prevalentemente la sera, prima di dormire.
La posizione preferita?
Spaparanzato a letto con due cuscini.
Quanti libri possiede (più o meno)?
Quelli sopravvissuti a traslochi ed epurazioni varie saranno 4/500. Mia moglie viaggia nell’ordine delle diverse migliaia, fortunatamente suddivisi in varie case: da quando è piccola legge una media di 3 libri al mese.
Come li tiene in ordine?
Non sono particolarmente maniacale, maneggio e ripongo i libri con rispetto ma senza particolari accortezze.
Dove li tiene?
Perlopiù in diverse librerie sparse per la casa; purtroppo per ragioni di spazio molti hanno dovuto prendere la via degli scatoloni in garage.
Ha regalato un libro per sedurre?
Si, una volta regalai a una ragazza la versione inglese di «Enigma» di Robert Harris, che racconta di vicende legate alla decriptazione dei messaggi in codice tedeschi durante la Seconda Guerra Mondiale. Inutile aggiungere che la ragazza non si fece mai più rivedere.
E’ stato mai sedotto con un libro?
No, mai. Pensandoci bene credo di non essere mai stato oggetto di seduzione in generale.
Come tiene il segno della lettura?
Non amo i segnalibri, e comunque anche se ne avessi li perderei. Preferisco usare oggetti casuali che trovo in tasca o sul comodino, in genere vecchi biglietti da visita o menù delivery di ristoranti giapponesi.
Ha il coraggio di fare le orecchie ai libri?
Si, ma solo se assolutamente necessario.
Li sottolinea?
Più che altro uso l’evidenziatore, mi è molto utile per fissare nella memoria visiva dei concetti che temo di dimenticare.
Ha mai buttato via un libro?
No, assolutamente. Porta sfiga.
E rubato un libro?
No.
Li impresta?
Se un ospite mi chiede un libro in prestito glielo porgo con un sorriso sereno e distaccato, ma dentro soffro tantissimo.
Li restituisce se li imprestano a lei?
Li ho sempre restituiti, tranne uno ora che ci penso…
Che libri tiene sul comodino da notte?
Sto per iniziare «Se scorre il sangue» di Stephen King.
L’ultima lettura?
Ho ripreso e finito «L’animale che mi porto dentro» di Francesco Piccolo. Genio autentico, ciò che mi ha sconvolto di quel libro è la disarmante onestà con cui si mette a nudo.
Se dovesse andare su un’isola deserta che libro porterebbe con sé? (Metterebbe in valigia anche uno dei suoi?)
«Cuore di Tenebra» di Conrad, un libro che ho letto tantissimi anni fa e che vorrei avere il tempo di affrontare una seconda volta con il filtro della maturità. Di mio porterei proprio l’ultimo «Max90», mi servirebbe a non dimenticare la mia giovinezza.
Il mito americano cos’è stato a Pavia?
L’America è stata per me legata soprattutto al cinema, ai grandi classici di registi come Scorsese, Coppola, Cimino, De Palma. E nella musica c’è stato Springsteen, tantissimo Springsteen: The River era il Ticino, il New Jersey era la provincia, l’inarrivabile New York era Milano.
Il bar è un luogo mitico della vita di provincia: per frequentarlo «servivano» letture?
Reagivo alla mia timidezza, al mio essere un po’ sfigato, raccontando episodi più o meno veri. «Storia illustrata» era utilissima allo scopo. Funzionavano anche gli aneddoti da «Lo sapevate che» della «Settimana Enigmistica». Sopra il frigo dei gelati c’erano i quotidiani: «Provincia Pavese», «Corriere», «Gazzetta» e «Tuttosport». Ma la Bibbia del bar, la fonte di ispirazione di cui ognuno possedeva una copia era «Bar Sport» di Stefano Benni. Insuperabile.
«Ragazzi sono cambiato, io al derby con voi non vengo, resto a casa a leggere Goethe»: ha mai detto (e fatto) una cosa del genere?
No, non sono mai sceso a un tale livello di prostrazione.
E Goethe l’ha letto sul serio?
Ho letto «I dolori del giovane Werther», ma solo perché obbligato in quanto lettura scolastica estiva, e lo ricordo come una rottura di palle assurda.
Nella vita adolescente di provincia c’erano anche libri oltre alle «menate»?
Certo, nel mondo pre-digitale i libri avevano grande spazio nella vita dei giovani. Magari non sempre narrativa e saggistica, ma di libri ne compravo tantissimi: volumi che mi hanno insegnato tutto ciò che so di fotografia, Seconda Guerra Mondiale, camion americani, aerei a turboelica, viaggi spaziali… E potrei continuare per 10 pagine. Il libro era cultura ma anche svago, gioco, interessi personali: la libreria era il parco dei divertimenti in un mondo arcaico ma meraviglioso in cui non bastava googlare per avere delle risposte.
Come le salta in mente di associare «Brugola», «parola dal suono strano», a Machiavelli?
Perché per assonanza la brugola mi ha sempre ricordato la «Mandragola». Ma, con tutto il rispetto per Machiavelli, onore al genio italiano del grande Egidio Brugola.
Al primo esame dell’Università, Sociologia, prese 30. Quali sono i classici della sociologia che l’hanno formata?
L’illuminazione è venuta con «Il Suicidio» di Durkheim: l’idea che un fenomeno da sempre considerato psicologico e privato possa avere delle implicazioni sociologiche, mi sembra rivoluzionaria ancora oggi nonostante il libro sia uscito alla fine dell’800.