Corriere della Sera, 17 aprile 2021
Paolo Bonolis voleva fare il diplomatico
Se le cose fossero andare diversamente, oggi Paolo Bonolis sarebbe un diplomatico. Da bambino però voleva fare l’esploratore e alla fine, in qualche modo, ci è riuscito. Solo che, una volta capito che erano rimaste «poche colonne d’Ercole da superare», ha deciso «di percorrere i territori inesplorati che sono gli altri. Ogni persona è una terra mai vista: mi interessa scoprirla». Nel suo Avanti un altro serve la bussola. «Non incontro mai prima i concorrenti: amo l’imprevedibile». Il quiz è stato promosso anche in prima serata, la domenica su Canale 5.
Contento?
«Il 20 per cento della prima puntata mi ha fatto piacere. Credo ci sia bisogno di uno sgrossamento dell’ansia. La leggerezza fa bene. Ma successi o fallimenti spesso dipendono dall’esuberanza eccessiva nelle aspettative».
Lei ha mai avvertito questa esuberanza eccessiva?
«Sia Avanti un altro che Ciao Darwin non sono partiti in tromba: sono privi di antenati, hanno dovuto imparare a camminare. A volte sono stati guardati con diffidenza».
Se non il conduttore, quale altro mestiere avrebbe fatto?
«Studiavo per fare la carriera diplomatica: fortunatamente per questo Paese ho intrapreso un’altra strada».
Non sarebbe stato bravo?
«Ho molta pazienza ma in certi contesti viene meno. Erdogan lo avrei diplomaticamente mandato al diavolo. Nel 1981, solo perché avevo il motorino, ho accompagnato un mio amico a un provino in Rai. Studiavo Istituzione e diritto romano. Lì mi hanno detto: e tu non lo fai?».
Lo ha fatto.
«Poco dopo mi hanno proposto di prendere parte a una trasmissione per ragazzi: mi davano 12 milioni di lire per un anno. A casa non si navigava nell’oro, non ho esitato. Poi ho capito che mi piaceva».
Quanto le piace creare i programmi che poi conduce?
«In 40 anni di tv si è trattato quasi sempre di dare forma a cosa ho dentro, ai miei pensieri... Per me ha senso fare una tv che ti appartiene, non mi interessa essere un maggiordomo di idee altrui ma il narratore di ciò che sono».
«Avanti un altro» cosa dice di lei?
«Parla del mio rapporto con il gioco, il quiz: di assoluto divertimento, non di ansia. Vedo molti giochi tv in cui la tensione è tutta focalizzata sul “saprà” o “non saprà”. Da spettatore non me ne frega niente: un gioco voglio sia gioioso, farcito di elementi di disincanto, popolato da personaggi buffi, singolari».
La criticano a volte per l’indugiare su personaggi eccentrici, freak...
«Negli altri quiz i concorrenti sono scelti perché sappiano e siano di bell’aspetto: da noi non c’è questo lato sprezzante che esclude lo stravagante, il borderline».
Nota mai che c’è chi si caricaturizza volutamente?
«Si e non mi piace chi cerca di essere chi non è. Vorrei essere il domatore di tante fiere diverse. L’esistenza è ricca di individui irripetibili: mostrarlo era l’intento anche di Ciao Darwin, Chi ha incastrato Peter Pan o il Senso della vita».
Lei è come la vediamo?
«Sì. Più che i prodotti troppo formattizzati, talvolta è chi conduce che si autoformattizza e mi dispiace: conformandosi, si indossa la divisa di un esercito che nessuno guida».
Come si pone nei confronti del politically correct?
«Una barbarie che costringe persone meno sicure a camminare facendo una sorta di passo dell’oca di cui non si sente la necessità. Io non riesco a non corrispondermi».
Vanta anche un ruolo d’attore. Lo rifarebbe?
«Ma no. Mi piace il cinema e per una volta ho voluto viverlo dalla sala macchine grazie a d’Alatri. Ma i tempi nel cinema sono diversi dalla tv».
Troppo lenti?
«Un incubo. Senza contare il cronosisma, salti temporali per cui non capivo a che punto stavo del racconto. Poi gli orari improbabili: sveglia alle 5 perché c’è la luce buona... E attendi, rifai la scena...».
In tv non le capita?
«Ma che rifare, non ci penso per niente. In tv la bellezza è cavalcare la tigre quando esce dalla gabbia: se l’addomestichi è noiosissimo».