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 2021  aprile 17 Sabato calendario

Biografia di Pierluigi Marzorati raccontata da lui stesso

La leggenda del Santo Palleggiatore, o dell’Ingegnere Volante, se preferite, finirà al cospetto di Barack Obama. In presenza. «Sono finalmente riuscito a contattare un cugino americano – racconta Pierluigi Marzorati —: si chiama Gerald Marzorati, è stato caporedattore del New York Times Magazine. Mi aveva visto ai Giochi 1984, ma non ci siamo né incontrati né sentiti. Ha promesso di portarmi dall’ex presidente degli Usa, che ama il basket: gli regalerò il pallone dei campioni “vintage”». Il cestista azzurro con più presenze e il campione modello di comportamento aggiungerà così un altro capitolo a una lunga storia che procede da Cantù, nel segno dell’operosità brianzola, di oratori, chierichetti (lui, il Pierlo), preti. E Pretoni, nomignolo che tocca a chi è di «Kantucky», terra di mobilieri e, come il Kentucky, di patiti per la pallacanestro. 
Marzorati, chierichetti si nasce o si diventa? 
«Si diventa, almeno nel mio caso. I genitori frequentavano la parrocchia e mio padre era amico del curato, don Bonacina. Io andavo all’oratorio di Monte Solaro, alla domenica papà mi seguiva per parlare con il parroco. È normale che il coadiutore un giorno mi abbia proposto di fare il chierichetto. Accettai e poi fui “promosso” a lettore nelle messe». 
Ha mai pensato di diventare prete? 
«No, ero troppo scatenato per il seminario». 
Oratorio, preghiere e canestri. 
«Non proprio. A 13 anni ero più alto dei coetanei, però non ero nato per il basket, che d’altra parte a Cantù contava. Ci arrivai dopo, frequentando le medie vicino alla palestra Parini: all’oratorio cominciai con il calcio». 
Che cosa «pesa» di più di Cantù, la sua etica o le sue vittorie? 
«Le vittorie. Il merito è stato di Aldo Allievi, mio suocero. Era un mago a pescare i collaboratori giusti e inserirli in una famiglia della quale era il capo. Con il basket si rimetteva sempre in gioco; poi non alzava mai la voce e aveva una parola buona per tutti». 
I canturini: concreti e pragmatici. 
«Conosco un imprenditore nel settore del legno il cui papà accatasta gli scarti su un bancale. Mi ha confessato: “La prima volta che si distrarrà, farò repulisti”. Nemmeno le briciole si buttano: mentalità artigianale, bisogna saper costruire qualcosa anche con gli avanzi». 
Marzorati atleta perfetto e uomo modello. Nessuna pecca? 
«Il mito è stato costruito da giornalisti amici. Non ho ancora presentato domanda di beatificazione e spero di aspettare un bel po’ a compilarla. Ma chi mi metterà sottoterra saluterà una persona normale che ha fatto varie cose: tra queste, laurearsi e disputare 278 partite con l’Italia, record irraggiungibile perché le Nazionali ora giocano meno». 
Sport e studio: è un messaggio ancora oggi? 
«Non ho mai preteso d’essere un esempio, io ho seguito i genitori: “Giochi solo se studi”, mi dissero. Ingegneria, però, l’ho scelta perché la volevo. Lo studio mi ripagava anche di qualche delusione sportiva: davo un esame in più, mi ricaricavo e ne godeva pure il cestista». 
Era un playmaker con le molle nelle gambe. 
«Non è stato il basket a darmele. All’oratorio partecipavo alle corse campestri e a quelle con il cerchio, usando ruote delle bici: ero sempre in giro per sterrati. Atleticamente mi sono formato così e quando mi hanno dato in mano un pallone da basket ho continuato a correre...». 
Perché non ha scelto architettura? 
«Perché sono un lavoratore, non un artista». 
Che cosa le è piaciuto dell’ingegneria? 
«L’imponenza delle costruzioni. Mi hanno sempre affascinato i ponti, i grattacieli e certe strutture che a volte mi domando come possano essere state realizzate». 
Qual è il «top», secondo lei? 
«Il Colosseo. Tutti ammirano forme e imponenza, ma pochi riflettono sul come è stato costruito. Mischiando ingegneria e architettura, non scordo i capolavori di Pierluigi Nervi». 
Com’è stato passare dagli assist ai calcoli del cemento armato? 
«Avevo puntato sull’indirizzo strutturista, ma non l’ho seguito fino in fondo. Ora ho uno studio, nel quale lavorano mio figlio e mia figlia, che abbina l’architettura all’ingegneria: da anni puntiamo sull’edilizia scolastica e sull’impiantistica sportiva». 
Entrambe sono deficitarie... 
«È vero, spero che i 209 miliardi del recovery fund servano a correggere certe lacune». 
Quali voti aveva Marzorati a scuola? 
«Esageriamo: 7+, come diceva Pozzetto. Erano voti dignitosi, ovviamente in matematica andavo bene». 
È mai finito dietro la lavagna? 
«Altro che! In prima media ho beccato un 7 in condotta. Non stavo mai fermo e per la voglia di scaricare l’energia sono finito dal preside per tre volte in un trimestre». 
Diceva le parolacce? 
«Sì, senza esagerare. A volte scappavano, soprattutto quando c’erano di mezzo gli arbitri. Possono sbagliare, ci mancherebbe, ma quando lo fanno all’ultimo secondo...». 
Una volta a Tel Aviv stava per «mangiare» il tedesco George: l’ira dell’ex chierichetto... 
«Nell’azione decisiva Antonello Riva fu buttato in tribuna: per l’arbitro era tutto regolare. Le parolacce a fine partita sono condonate». 

Lo sport ha perso qualità? 
«Sì, sono cambiati i valori, partendo dall’appartenenza. Era anche un concetto di riconoscenza verso chi dava opportunità. Oggi, invece, tutto dipende dai guadagni». 
Quanto c’entrano i procuratori? 
«Molto. Prima contava il “mi trovo bene” del giocatore, oggi chi si vuole trovare bene è il manager, che sta meglio se l’atleta cambia squadra. Il giocatore è schiavo del mercanteggiamento, perde l’idea di convivere con i compagni ed è felice solo se guadagna di più». 
Lo sport, si dice, è diventato business. 
«A volte ci sono situazioni assurde: ad esempio il basket, pagando un sacco di soldi per il professionismo, non ha più risorse per i giovani. Il cambiamento va fatto alla svelta e deve avere i vivai come riferimento. Bisogna spiegare ai ragazzi che sport è prima di tutto divertimento e non sognare di diventare Ronaldo per guadagnare 31 milioni a stagione». 
È Marzorati o Dino Meneghin il miglior cestista italiano di sempre? 
«Non c’è paragone, Dino ha spostato i valori. Sarebbe stato un grande pure nella Nba, perfino più di Belinelli e Gallinari». 
Quale visione ha Marzorati dell’Italia? 
«La forza è che siamo un Paese democratico pur nelle diseguaglianze. I problemi? La differenza Nord-Sud e il fatto che tanti politici guardano alle convenienze spicciole. Va valorizzata l’imprenditoria privata, è un asset». 
Ha mai pensato alla politica, magari nella Dc che teneva banco a Cantù? 
«No, serve una vocazione. Me l’hanno proposto, ma prima avevo il basket, poi gli studi e infine ho cominciato a lavorare. E dopo una certa età, largo ai giovani...». 
Lei è di sinistra, di destra o di centro? 
«Sono centrista, però valuto le persone più che i partiti. Più che i colori della politica seguo i progetti “nella politica”». 
Quali sono i suoi idoli? 
«Magic Johnson nel basket. Poi Obama, e non perché lo incontrerò: sto leggendo Terra Promessa, libro bellissimo perché il messaggio è che nulla è precluso. Non è importante dove arrivi, ma come arrivi in base al talento». 
In Italia chi salva? 
«Confido in Draghi. Dovrà spendere bene i soldi in arrivo, ma se non sa farlo lui... Mi pare fuori dai giochi, però dovrà muoversi “dentro” i giochi: gli tirano già la giacca». 
Perché lasciò i vertici del Coni lombardo? 
«Perché ho trovato tanti lazzaroni che facevano pure gli sberleffi, impuniti e impunibili. In certi ambienti si vive di compromessi, ma io sono fumantino e non li sopporto. Non sono adatto a quel tipo di “cadrega”, per dirla con Aldo, Giovanni e Giacomo». 
Marzorati è stato donnaiolo? 
«Direi di no: a 21 anni mi sono fidanzato con la figlia del patron...». 
Nel 2006 tornò in serie A a 54 anni: impresa da Guinness. 
«È stato solo un simpatico episodio. Gino e Simone Giofrè, dirigenti di Cantù, si erano inventati il record: dal 1969 al 1991 ho giocato negli anni ’60, ’70, ’80 e ’90. Bisognava aggiungere gli anni 2000 per il primato della presenza in cinque decenni». 
Giocò i primi due minuti contro Treviso campione d’Italia. 
«No, un minuto e mezzo: Pino Sacripanti notò che ero cianotico... Comunque ha funzionato e ho avuto la fortuna che in squadra ci fosse Michael Jordan, solo omonimo di quello vero ma quel giorno in stato di grazia: segnò 35 punti e vincemmo di 1. Con me in campo il punteggio era 7-6; senza di me... fecero pari». 
Passioni e hobby del Santo Palleggiatore. 
«Amo arte e architettura. Mi hanno appena mandato una foto in 3D della Cappella Sistina: come può esistere una cosa del genere? Poi gioco a golf: ho superato l’esame, aspetto l’handicap». 
Per chi tifa Marzorati? 
«Per Luka Doncic, lo sloveno che incanta la Nba: è il futuro. Nel calcio, invece, ho una mentalità provinciale: da sempre ho simpatia per il Chievo, ora tifo anche La Spezia». 
Le manca qualcosa nella vita? 
«Sono ancora in debito con il basket: penso a un progetto per trasmettere qualcosa di educativo ai ragazzi». 
Sono i 700 anni dalla morte di Dante: lei finirà all’Inferno, in Purgatorio o in Paradiso? 
«In Purgatorio: lì spero di avere contatti con gente più in alto che metta una buona parola, anche perché ne ho tanti al piano di sotto...»