la Repubblica, 17 aprile 2021
Si pente il boss della la ’ndrangheta Grande Aracri
Si è pentito il boss Nicolino Grande Aracri. Il capo del clan di Cutro, con radici nella provincia di Crotone e di Cosenza, ha deciso di collaborare con la giustizia affidando le proprie confessioni a Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro. “Manu i gumma” (Mano di gomma), come era chiamato negli ambienti criminali, da circa un mese sta vuotando il sacco. Una decisione che potrebbe segnare una svolta importante nella lotta alla ‘ndrangheta. I calabresi, infatti, non hanno mai avuto pentiti del livello di Grande Aracri, capo indiscusso sia al Sud che al Nord, dove il suo clan ha da tempo allungato i tentacoli in regioni come l’Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia. Grande Aracri, in buona sostanza, potrebbe essere quello che è stato Tommaso Buscetta per Cosa Nostra: un padrino capace di svelare segreti che pochissimi conoscono.
La scalata di “Manu i gumma” inizia a metà degli anni Ottanta, da luogotenente del boss dell’epoca Antonio Dragone. Il futuro capo dei cutresi già a quei tempi si era dimostrato capace di organizzare azioni militari e buoni affari. Il salto di qualità lo ha fatto negli anni successivi, quando, in contrapposizione al suo vecchio capo, prese il posto dei Dragone, facendo assassinare il vecchi boss con un colpo di bazooka che centrò l’auto blindata in cui viaggiava. Una faida sanguinosa alla fine della quale chiosò: «Ho vinto perché li ho ammazzati tutti».
Grande Aracri, da quel momento, ha cambiato però strategia ed è diventato uomo d’affari a tutti gli effetti. Avvicinava e tesseva rapporti, come diceva lui stesso, con «i cristiani buoni». Negli ultimi venti anni ha avuto a libro paga schiere di colletti bianchi, imprenditori e professionisti. Allo stesso tempo è stato capace di dialogare con politici e rappresentanti delle istituzioni. Il processo “Aemilia”, il più importante per numero d’imputati che si è svolto nel nord Italia, ha dimostrato che i suoi luogotenenti controllavano almeno 4 province (Reggio Emilia, Modena, Parma e Piacenza) e che avevano già in corso affari importanti in altre regioni. Raccontava di avere ai suoi ordini 500 affiliati anche se le inchieste degli ultimi anni (delle Dda di Bologna e Catanzaro)avevano portato in carcere i suoi uomini più fidati. Lui stesso, prima di decidere di collaborare, era all’ergastolo, a Opera, al carcere duro del 41 bis, e la sua supremazia era decisamente in declino. Gratteri ha sempre affermato che la sua era «una famiglia di ‘ndrangheta di serie A».
La Procura di Catanzaro non commenta, anche se fonti giudiziarie dicono che «è presto per valutare gli effetti e la genuinità della sua collaborazione». Se veramente deciderà di mettere a conoscenza i magistrati di tutto quello che conosce, la lotta alla ‘ndrangheta potrebbe avere un’accelerazione in tutta Italia e verrebbero svelati molti intrecci che legano i clan calabresi a politici, amministratori e burocrati infedeli.