La Stampa, 17 aprile 2021
Intervista a Christian Louboutin
Rosso, come le labbra delle attrici Anni 50. Rosso, come i musical di Bollywood. Rosso come il romanzo di Orhan Pamuk, My name is red. Rosso come la passione che ha acceso Christian Louboutin, l’esteta, l’immaginifico creatore di sogni da donne a forma di calzature fatate con la suola rossa.
Si narra che Christina Aguilera possegga più di 300 Louboutin, così come Blake Lively, e che la sua cara amica regina del burlesque, Dita von Teese, le calzi mentre si spoglia nei suoi spettacoli o come Anne Sinclair ex moglie di Dominique Strauss-Kahn che le ha indossate a mo’ di sfregio nell’aula del tribunale nella quale il marito compariva accusato di violenza. E che Yves Saint Laurent le abbia volute al suo defilé d’addio del 2002. E dire che quest’uomo nato a Parigi nel 1963, metà francese e metà camerunense, lanciava la sua prima collezione solo 1990 e che pochi anni dopo vantava già 125 monomarca in 24 Paesi.
Vedeva il sogno nell’effetto pop della suola rossa per la quale ha combattuto fino ad arrivare alla Corte di Giustizia Europea. «In questo sterminato reame dell’inutile, ci proteggono gli oggetti che utili non sono». Uno spaccato poetico di una vita poetica che ha promosso l’eccellenza, si ritrova intatta nel bel documentario che Sky Arte gli dedica: «Sulle orme di Christian Louboutin» in onda stasera alle 21,15.
Maestro, lei ha detto di avere una vera e propria devozione per le scarpe. Ci si nasce o cresce con gli anni?
«E’ cresciuta con gli anni a partire dalla prima adolescenza. Tutto è iniziato dallo schizzo di una scarpa che avevo visto al Musée des Arts Océaniens et Africains a Parigi. Divenni ossessionato dal disegno delle scarpe ancora prima di esserlo per le scarpe vere, ma anche quell’ossessione non è tardata ad arrivare. A 16 anni ero ormai irrimediabilmente contagiato dal virus delle scarpe».
Nessuna musa, tranne le sue tre sorelle. Ci racconta la sua infanzia con il papà ebanista e tante donne?
«Le mie tre sorelle e mia madre non erano necessariamente delle muse, ma sicuramente mi hanno introdotto molto presto al concetto di femminilità e a quanto questa possa essere variegata, complessa ma anche divertente quando ci si gioca e la si asseconda. Ci sono così tanti aspetti che possono definire e talvolta sfidare il concetto stesso di identità femminile!!!».
La mostra al Palais Dorée di Parigi è stata sospesa per Covid. E tutto è ripensato. Ritiene che anche un’esposizione di scarpe andrebbe rivista nell’ottica nuova?
«No. La pandemia ha influenzato molti aspetti delle nostre vite, ma penso che quando sei un creatore o un designer hai la possibilità di concentrarti di più sul tuo processo creativo".
Lei ha impiegato sei anni per realizzare la collezione Bhutan. Con questi tempi come si coniugano artigianato e arte?
«Dipende dalla definizione di arte, ma per me l’artigianato è sicuramente una forma d’arte. Gli artisti firmano il proprio lavoro con il proprio nome, gli artigiani non lo fanno pur mettendo tutta la loro maestria al servizio della comunità, e penso sia molto bello. Piano piano alcuni artigiani eccelsi stanno avendo il riconoscimento che meritano allo stesso livello degli artisti proprio come - dal mio punto di vista - dovrebbe essere. C’è forse meno fibra artistica in qualcuno che crea un mobile straordinario con le mani e il cuore piuttosto che in un fotografo o in un pittore?».
Ci racconta della suola rossa, dello smalto per unghie?
«La suola rossa è nata nel 1992. Devo dire che fu un felice incidente. Ero in fabbrica e avevamo appena ricevuto gli ultimi prototipi. Ero soddisfatto del risultato, ma le scarpe sembravano molto più pesanti degli schizzi che avevo davanti. Non riuscivo a vedere il lavoro che avevo fatto per trovare la linea più perfetta. Guardandole da dietro, c’era una massa nera dalla suola che non esisteva nei miei disegni. La mia assistente Sarah era accanto a me che si metteva lo smalto alle unghie. Presi il suo smalto e dipinsi la suola di rosso. A quel punto fu come se la scarpa avesse preso vita. Era come il disegno che avevo immaginato. In un certo senso è stata una specie di rivelazione. All’inizio degli Anni 90 in Francia c’erano molte donne vestite di nero che dicevano di non amare i colori. Se non ti piacciono i colori non indosserai mai il verde. Ma se non ti piace il colore, indossi comunque il rosso, sulle labbra o sulle unghie. Ecco perché ho deciso di puntare sul rosso».
Chi èoggi Christian Louboutin come uomo e come artista?
«Per me è difficile scindere l’uomo dall’artista, la mia vita private da quella professionale. Essendo uno stilista, il mio lavoro si nutre della vita stessa e non si può scindere il tempo che vivo da quello che impiego per creare».
Lei ha detto di rincorrere il sogno. Lo ha imparato a Les Folies Bergères?
«Uno dei miei primi sogni è stato quello di disegnare scarpe per le showgirl e il mio primo stage è stato a Les Folies Bergères circondato da grandi interpreti. Per questo posso dire che uno dei miei sogni si è realizzato. Poi il sogno si è evoluto in altre forme, con altre persone, in altri luoghi. La costante è stata il fatto che fosse un qualcosa che mi portavo dietro dalla mia infanzia, che mi ha fatto sognare, sorridere, andare alla deriva e che in realtà è diventato la mia realtà senza che io ne fossi necessariamente cosciente nel momento in cui è successo per la prima volta».
Tempo addietro ha detto di sentirsi orgoglioso di non aver puntato la sua vita sulle aziende. Oggi ha ceduto il 24% di azioni a Exor, la holding finanziaria controllata dalla famiglia Agnelli, per 541 milioni di euro. Si apre una nuova pagina della maison. Emozionato?
«Sono entusiasta di avere un nuovo socio al mio fianco. Ho fondato la mia azienda con 2 amici in affari come soci: Bruno & Henri. Con Bruno, abbiamo riacquistato le azioni di Henri qualche tempo fa, essendo Henri all’epoca più un socio inattivo. Ma mi piace l’energia del trio. È fantastico avere Exor come terzo moschettiere, un socio forte che ti spinge a muoverti, ti fa pensare, ti fa guardare avanti in un modo molto positivo. Lavorare con un gruppo guidato da grandi menti e anche molto rispettoso della giovane storia della nostra maison, è un vantaggio. Dopo la mostra che ha rappresentato trent’anni del mio lavoro, mi sono reso conto che la mole di lavoro prodotta che ho potuto passare in rassegna durante la preparazione della mostra fosse diventata una bella eredità e sicuramente mi ha fatto pensare che fosse il momento perfetto per lavorare al fianco di persone audaci con un grande senso dell’imprenditorialità ma anche piena comprensione di una mentalità imprenditoriale a carattere familiare».