La Stampa, 17 aprile 2021
Carlotta e Susanna Proietti raccontano il padre Gigi
Già nell’incipit del romanzo-non-romanzo di Gigi Proietti c’è il concentrato dell’uomo: «Ebbene, sì. Confesso. Sì, scrivo roba in versi. Mi dichiaro rifugiato poetico». Perché il grande attore, maschera atipica e poliedrica, regista, cantante, poeta, menestrello di una romanità sparita, barzellettiere ironico, maestro-insegnante, scopritore di talenti, scrittore, drammaturgo, intrattenitore sopraffino, mangiatore di pasta e patate alle 3 del mattino, affabulatore, scopritore di antichi sonetti romani, disegnatore raffinato, caricaturista spiritoso, tifoso sfegatato, era tanto e tutto insieme. Venirne a capo però non era difficile, mettersi sulla sua lunghezza d’onda, lui lo rendeva possibile. Aveva scritto altri libri e un’autobiografia, Ho vissuto per il mio pubblico, ma è anche vero che ha vissuto per la sua famiglia, la moglie e due figlie, Carlotta e Susanna che sono entrate nel suo solco. Gigi Proietti scriveva sul taccuino che portava sempre dietro, versi pungenti, sberleffi ad arte, disegni grafici, un insieme che contribuiva a creare il suo talento di "narratore e sonettaro poetico". E si era messo a scrivere un romanzo sui generis, come lo era tutta la sua produzione peraltro. Fin dal titolo bizzarro ’Ndo cojo cojo, (in uscita martedì prossimo per Rizzoli) tipica locuzione dialettale romana per chi spara nel gruppo e non sta a guardare troppo per il sottile. Titolo perfetto per raccontare il libro che è una raccolta di scritti, giocato sulla contaminazione di generi, sonetti e sberleffi, trovati e messi insieme dalle figlie, Carlotta e Susanna e corredate da immagini ficcanti.
Carlotta, mi spiega in che senso questo è un romanzo?
«Papà stava preparando un romanzo, appunto, che purtroppo ha lasciato incompiuto. Con mia sorella ci siamo chieste che cosa farne e ne abbiamo parlato con la Rizzoli che da sempre lo pubblicava. Così abbiamo deciso di completarlo e di dargli una forma, integrando con il materiale che abbiamo trovato tra i suoi appunti, un mix di cose belle».
Pur non essendo un romanzo secondo i canoni classici, esce fuori l’anima di vostro padre da questi scritti?
«Ne sono sicura. A volte lavorandoci mi sembrava di sentire la sua voce che leggeva. Nel libro di nostro c’è solo l’introduzione, tutto il resto è suo».
Che tipo era in casa?
«Di solito si dice che l’uomo e l’artista siano diversi tra loro. Nostro padre era la stessa persona che poi saliva in palcoscenico, che dirigeva. Un uomo buono, generoso. Un uomo tranquillo che aveva il dono di sdrammatizzare tutto col quale si rideva tanto. Difficilmente ricordo tempi seriosi in questa casa».
Vivevate insieme?
«Durante il lockdown mi sono trasferita dai miei genitori. Sono stati due mesi passati insieme in gran serenità. Lui diceva sempre che noi eravamo dei privilegiati per tante cose, ma anche perché potevamo passare il tempo cantando, suonando, parlando di teatro. C’era uno scambio continuo».
Pur se adorato dal pubblico, suo padre pativa una certa scarsa considerazione da parte dell’establishment teatrale che lo faceva soffrire. Giusto?
«Ricordo benissimo che a volte non gli veniva riconosciuto ciò che invece veniva riconosciuto ad altri colleghi. Lui però non amava la polemica e non era rivendicativo, certo gli era chiaro che avrebbe potuto essere appoggiato di più dalle istituzioni. Ma la gente lo ripagava di ogni delusione».
C’è qualcosa di non soddisfatto nella sua vita?
«Avrebbe voluto avere una sua casa, un teatro che fosse tutto suo, come era stato il Brancaccio. Il Globe era una realtà atipica, solo estiva. È stato uno dei suoi rimpianti».
Susanna, lei e suo padre avevate una grande passione in comune, il disegno.
«E che ci ha avvicinato. Lui aveva un suo stile, io un altro ma ci ritrovavamo nell’ironia. Aveva il tratto stilizzato, pochi segni e netti. Mi ha influenzata».
Seguire le orme paterne, sua sorella attrice e lei scenografa e costumista, con un padre così è complicatissimo.
«Non è impresa facile ma noi siamo state abituate a prendere il pacchetto intero, costi e benefici. Un’eredità artistica che amiamo portare avanti».