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 2021  aprile 17 Sabato calendario

Periscopio

I portoghesi e gli olandesi (ma non solo), pur essendo anche loro investiti dalla pandemia come noi, votano ugualmente perché sanno che non si deve scherzare con la democrazia. Lodovico Festa. Studi Cattolici.
Ultima definizione del Pd, autore Goffredo Bettini: «Siamo l’elefante buono che si porta in groppa qualche suonatore di tamburello». Dino Basili. Studi Cattolici.

Dopo le Cinque giornate di Milano, quando ritornarono gli austriaci, i contadini lombardi li accolsero dicendo: «Non siamo stati noi. Sono stati i signori». Giuseppe Prezzolini, Intervista sulla destra. Mondadori, 1994.

Carla Bruni fu presentata a Sarkozy da Jacques Séguéla, il pubblicitario che aveva inventato la «forza tranquilla» di Mitterrand. La incontrai per caso a Parigi due giorni prima del ballottaggio del 2012, in cui il marito affrontava il socialista François Hollande. Carla passeggiava in boulevard Haussman, all’angolo con la rue Roy, dieci minuti a piedi dall’Eliseo, dove si era fermata davanti a un salon de toilettage, salone di moda e di bellezza canina. In vetrina c’era una nidiata di cuccioli. Lei si curvò a guardare, felice come una bambina: «Qu’ils sont mignons!», come sono carini. Il negozio si chiamava Calina («caline» in francese è una persona coccolona, affettuosa). Aldo Cazzullo. Corsera.

Della categoria dei giornalisti che è piena di difetti, il difetto maggiore è la pigrizia. Il redattori si adagiano sulla routine, impiegati statali, trattano le vicende del giornale come pratiche burocratiche. «Abbiamo messo due timbri, questa pagina è firmata, questa va in tipografia. La pagina 12 è a posto e non la tocchiamo più». Ma se c’è bisogno di farlo bisogna essere contenti. Se vede che c’è una notizia più bella, più forte, più importante, che renderà le pagine più fresche in edicola. Se un giornalista si irrita perché alle dieci di sera deve ribaltare tutto, vuol dire che è pigro, ingessato, svogliato. E soprattutto vuol dire che non è giornalista. Luciana Baldrighi, Feltri racconta Feltri. Sperling&Kupfer Editori, 1997.

Il prelato Rino Passigato ha preferito ritirarsi nello stesso condominio dove abita il fratello Luigi Renato, che ha 9 anni più di lui. In uno studiolo ha ricavato «una piccola cattedrale», in cui tiene il Santissimo («un privilegio vescovile») e ogni sera, fra le 19 e le 20, celebra messa da solo. «Avevo chiesto a una mia nipote, commessa in un negozio di biancheria intima del centro storico, di farmi da segretaria. Ero disposto ad assumerla e a metterla in regola. Ma non se l’è sentita». Rino Passigato, 77 anni già nunzio apostolico. Stefano Lorenzetto. l’Arena.

Non c’è professionista di Malpaga, per quanto autorevole, rispettabile, aristocratico, che non si metta al servizio della macchina succhiadenari. Il maestro Bertozzi siede alla cassa del «Pol-Pat», che significa polli e patatine fritte. Il violinista Malinverni, che insegna Musica alla Medie di Toscolano, si infila tanto di cappello da cuoco e dirige la cucina del camping «Allegro». L’enologo Alfieri, sindaco dimissionario e dongiovanni impenitente, ha aperto una pizzeria con cantina di pregio, quadri astratti alle pareti e musica del Settecento veneziano. Nantas Salvalaggio, Villa Mimosa. Mondadori, 1985.

Hemingway sarà stato pure uno sbruffone però restituì, con maggiore nettezza di tanti altri, certe emozioni che solo la Spagna ti può trasmettere. Che mi risulti nessuno ha reso meglio di lui il clima che si respira da quelle parti dopo una festa: «La mattina era finito tutto», scriveva in Fiesta a proposito di Pamplona, dopo giorni di sbronze, amori, tradimenti, scazzottate: «La fiesta si era conclusa. La piazza era deserta e non c’era nessuno per le strade. Solo qualche bambino che raccoglieva aste di razzi nella piazza. Un cameriere in grembiule azzurro uscì con un secchio e uno straccio, e cominciò a staccare quei manifesti, strappando la t a strisce e togliendo, a forza di tagliare e sfregare, quella che era rimasta incollata alla pietra. La festa è finita». Mario Cicala. Eterna Spagna. Neri Pozza.

Domandai a Vitaliano Brancati se gli piacevano i western. «Non ne perdo uno» mi rispose, «M’incantano i cavalli, i fiumi, le montagne, la prateria del West, quei cieli immensi, quelle nuvole bianche: ma quando sulle schermo si svolgono scene di lotta, di violenza criminale, cazzottature, sparatorie, io chiudo gli occhi». Curzio Malaparte, Battibecchi. Florentia, 1993.

Mi si chiede spesso com’è possibile che i Visconti di Modrone abbiano dato la loro figlia in moglie a un Gastel qualunque. I miei genitori si conobbero a Cernobbio. Papà vinse i littoriali di canottaggio. Mamma e sua sorella Uberta videro ’sto fusto e lo andarono a conoscere alla premiazione a villa d’Este. Si incontrarono di nascosto e si innamorarono. Ovvio che quel matrimonio non si doveva fare. I Visconti immaginavano il solito brubru a caccia di dote. I Gastel fecero una testa così a mio padre: sei matto, sposi la contessa e poi come la mantieni! Mamma e papà andarono da zio Luchino. Dissero di amarsi e di essere disperati all’idea di separarsi. Luchino, benché bizzarro, era moralista: per un anno non vi vedrete e non vi parlerete, se il sentimento resisterà me ne occuperò io. Dodici mesi dopo, i due erano ancora lì come in un romanzo d’appendice. Nel frattempo i nonni materni si erano separati e Luchino ottenne il consenso. Anche i Gastel gettarono la spugna. Nel 1939 i due fidanzatini si sposarono scodellando sette figli. Io sono l’ultimo. Giovanni Gastel, fotografo (Pier Luigi Vercesi). Corsera.

Bisognerà aspettare gli anni Novanta perché il valore di Giorgio Scerbanenco emerga. Vale per tutti l’epitaffio scritto per lui da Indro Montanelli: «Forse sono il solo, o comunque uno dei pochi a essermi accorto che Scerbanenco valeva molto più della quotazione, cioè della non-quotazione che la critica gli assegnava nella borsa dei valori letterari. Come costruttore di racconti, non era da meno di Moravia, e in quelli polizieschi era sul livello di Simenon. Eppure non l’ho mai detto, non ho mai mosso un dito né speso una parola per riscattarlo dall’avvilente condizione di romanziere da rotocalco. Questo ucraino cresciuto in Italia, più lungo e secco di me, con un viso di cavallo stralunato, era un uomo pieno di dignità». Ma era tardi, appunto: l’Italia del boom stava per entrare in una nuova, angosciante stagione, quella del piombo, dello scontro. Il «russo» aveva finito le sue vite. Maurizio Pilotti: Libertà.

Sono abbastanza vecchio per non avere più voglia di ringiovanire. Roberto Gervaso.