Il Sole 24 Ore, 17 aprile 2021
Il Pil cinese rimbalza del 18,3%
Era il dato più atteso dopo le stime prudenziali sul Pil 2021 del Work Report di Li Keqiang (oltre il 6%) e quelle più ottimistiche del Fondo Monetario (+8,4%).
Il Pil cinese del primo trimestre non delude le aspettative e balza alla cifra record del 18,3% in più rispetto all’anno scorso. Una crescita a doppia cifra come non se vedeva, ormai, da anni. Gli anni che hanno preceduto l’ascesa di Xi Jinping, teorico del New Normal poi inciampato nel Covid-19.
Il segno è positivo, in linea con l’andamento dell’ultimo scorcio del 2020 quando l’economia di Pechino aveva sterzato decisamente incassando un +6,5%.
L’anno scorso il Pil su base annua, a consuntivo, era stato”solo” del 2,3 per cento. Agli inizi del 2020, però, l’economia aveva subito una contrazione del 6,8%, la peggiore performance della storia cinese dalla metà degli anni Sessanta, ma la risalita a “V” era iniziata e nel trimestre successivo il Pil aveva riguadagnato quota 3,2% per attestarsi, a fine anno, al +6,5 per cento.
Ma è proprio quest’ultimo dato quello da tenere a mente per valutare il Pil diffuso ieri dall’Istituto nazionale di statistica: se lo si rapporta al primo trimestre del 2020 quando la Cina era finita nell’abisso della pandemìa, il dato rischia di essere sopravvalutato. Paragonato al 6,5% finale, invece, il dato stabilizzato incassa un vantaggio minimo dello 0,1 per cento.
In buona sostanza, però, Pechino ha effettivamente rimesso l’economia su più giusti binari, visto che anche i dati della produzione sono cresciuti del 24,5% e gli investimenti nel real estate sono aumentati del 25,6 per cento.
Soprattutto, la crescita cinese è sostenuta dalla doppia ripresa della domanda, sia interna, sia esterna.
Dopo il Capodanno cinese le restrizioni, grazie anche alla campagna di vaccinazioni a tappeto e alla chiusura dei confini per evitare i contagi di ritorno, hanno lasciato il passo a una vita più normale, con i cinesi che si sono riversati nei ristoranti e negli shopping mall, che hanno registrato un picco nella clientela (+75,8%). In genere tutta l’attività aperta al pubblico ha ripreso a funzionare, limitando il ricorso agli acquisti online.
Anche la domanda estera e le filiere internazionali si stanno riorganizzando e la Cina sta rispondendo a una rinnovata richiesta di beni e servizi che viene dall’Ovest, dove le fabbriche stanno ripartendo, nonostante i problemi legati ai contagi. La bilancia commerciale diffusa dal ministero del Commercio ha dato segni positivi, anche sul fronte delle importazioni, specie di beni di largo consumo.
Negli ultimi tempi, al contrario, Pechino ha registrato un aumento dell’inflazione legata principalmente al costo delle materie prime. Sul tema è intervenuto lo stesso premier Li Keqiang che in un incontro di alto livello si è rivolto agli operatori del mercato dei futures sulle commodities chiedendo loro di mettere un freno alle mosse speculative.
A marzo i prezzi alla produzione hanno registrato un aumento del 4,4%, mentre i prezzi al consumo sono risaliti dello 0,4% dal meno 0,2% di febbraio.
La ripresa delle Pmi, infine, è ancora al traino dei sussidi e degli aiuti statali, in gran parte sconti fiscali, che, tuttavia, secondo i piani di Pechino dovrebbero diminuire gradatamente. La Banca centrale ha fatto sapere più volte che non ha intenzione di inondare il mercato di liquidità e che le aziende devono muoversi con le proprie forze. La spinta a riattivare la crescita reale è fondamentale per il Governatore Yi Gang.
Sulla Cina restano nubi minacciose legate alle tensioni con gli Stati Uniti, il Giappone, per non parlare dell’Europa, un mercato di cruciale importanza per Pechino alle prese con il Covid-19, che potrebbero compromettere le attese di una ripresa stabile.
Un elenco lungo: dalla posizione su Taiwan, alle sanzioni sulle aziende cinesi in black list perchè mettono a rischio la sicurezza nazionale americana alle incertezze sull’accordo bilaterale sugli investimenti Cina-Europa, già firmato in via di principio, finito in stand by.