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 2021  aprile 17 Sabato calendario

In morte di Luciano Ventrone

Giulia Zonca, La Stampa
Così vero da non essere credibile: Luciano Ventrone se ne va a 78 anni e si lascia dietro un’esplosione, nature morte, quadri che sembrano fotografie e una diatriba che dura da secoli in cui lui è rimasto intrappolato. Senza soffrirne affatto.
Artista da sempre, dai tempi della scuola, romano cresciuto in Danimarca come è successo a molti altri figli della guerra, Ventrone trova la propria strada alla fine degli Anni 60 quando capisce che il suo talento non è rivoluzione, ma reinterpretazione. Mano raffinata, tecnica evidente, riproduce la realtà in un iperrealismo tanto nitido da attirare l’attenzione di Federico Zeri che lo battezza «il Caravaggio del XX secolo» e lo mette in mezzo a una discussione tra critici destinata a sopravvivergli. I suoi cesti di limoni, vasi di cipolle, quasi sempre con titoli ironici, sono così tremendamente perfetti da passare per copie e quando dal soggetto preferito si sposta su un nudo, di schiena, la disputa ormai lo precede e il dubbio diventa polemica. Per Francesco Bonami «il suo lavoro suscita la meraviglia del prestigiatore»: non interpreta, riproduce, non spinge chi guarda la sua opera ad andare oltre, stupisce con la perfezione. Per Vittorio Sgarbi, che ha curato tante sue mostre ed era pronto a farlo ancora a Urbino: «Non è innovativo e allora? Non gli si può certo negare il diritto di essere artista. Vero che dire è trasgredire ma si può anche ripetere in modo personale».
Impossibile trovare un’intesa e Ventrone non la cercava, era convinto della propria attenzione che metteva più nell’arte che nella vita. Accanito fumatore, da un anno doveva stare vicino a una bombola di ossigeno. L’altra notte ha cercato di accendere una sigaretta e non l’ha trovata, ma il fuoco ormai era partito e se lo è portato via con un botto. 

***

Laura Larcan, Il Messaggero
Lutto nel mondo dell’arte. Addio al famoso pittore romano Luciano Ventrone, che avrebbe compiuto 79 anni il prossimo 17 novembre. Il dramma è andato in scena giovedì notte, per un malore, nel suo buen retiro abruzzese di Collelongo, in provincia de L’Aquila, dove da tempo aveva scelto di risiedere, convivendo con i suoi problemi polmonari curati, negli ultimi mesi, con una ossigenoterapia domiciliare. 
Luciano Ventrone era considerato da critici e storici dell’arte come il virtuoso della natura morta, un genere che sapeva esaltare con tecniche pittoriche da iperrealista e illusionista uniche. Nella sua biografia ricorre sempre, quasi con l’aura della leggenda, quando venne scoperto dall’altrettanto grande Federico Zeri, storico dell’arte fine e arguto, che lo definì (era il 1983) «il Caravaggio del XX secolo».
Un appellativo che ne ha contraddistinto la carriera. Tanto che proprio il Mart di Rovereto lo ha inserito da protagonista nell’ultima mostra Caravaggio. Il contemporaneo che si è appena conclusa. Le opere di Ventrone avevano il magnetismo della verità. Fin quasi alla provocazione. 
LA PROVOCAZIONE
Nel maggio del 2018, per esempio, la sua retrospettiva a Gualdo Tadino, curata da Vittorio Sgarbi, creò (simbolicamente) non pochi problemi al Polo Museale perché i visitatori non si limitavano ad ammirare le opere ma le toccavano con le mani, nonostante i divieti e i richiami con l’altoparlante. Una reazione quasi normale di fronte ai quadri di Ventrone famosi per la perfezione delle nature morte (compresi i tangibili segni del tempo che possono far appassire foglie e consumare i frutti) o dei ritratti. Tanto da sembrare veri. Più veri della fotografia, con quella smania e devozione a catturare particolari sempre più dettagliati e quasi invisibili.
«Lo scandalo è quello di trovarsi di fronte ad un pittore che sa dipingere e quindi stupisce perché è capace», commentava lo stesso Vittorio Sgarbi, uno dei suoi estimatori. Ventrone, di fatto, ha rinvigorito quei generi classici della natura morta, del paesaggio, del ritratto, orchestrando in una formula nuova l’efficacia degli effetti di luce con il colore brillante. 

LA FOTOGRAFIA
Nella sua tecnica, non a caso, proprio la fotografia ha rappresentato sempre un punto di partenza. «Lo studio della pittura – amava dichiarare – non è la mera rappresentazione dell’oggetto, ma è colore e luce: i giusti rapporti fra le due cose danno la forma nello spazio. Il soggetto non va visto come tale, ma astrattamente». 
Romano di nascita, sarà strategico il suo soggiorno a soli cinque anni in Danimarca, ospitato nella casa di Metha Petersen. Fu lei a regalare a Ventrone una scatola di colori, alimentando in lui la vocazione per l’arte. Poi, il rientro a Roma. Nel 1960 frequenta il Liceo Artistico della Capitale, passando al la Facoltà di Architettura. La pittura, però, diventerà la sua missione. L’ha portata ovunque, dalla Biennale di Venezia a New York, dalla sua Roma (che nel 2013 per i suoi 70 anni, lo ha celebrato al Casino dei Principi di Villa Torlonia) fino a Mosca e a San P’ietroburgo. A piangerlo, la moglie Miranda Gibilisco. I funerali sono stati svolti con una cerimonia intima, come nello stile dell’artista, alla presenza del figlio Massimo.