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 2021  aprile 16 Venerdì calendario

Formigoni si difende sul vitalizio

Non si placa la rabbia dei 5 Stelle contro Roberto Formigoni per la decisione della Commissione del Senato di fargli riavere la pensione da parlamentare, malgrado la condanna definitiva a 5 anni e 10 mesi di carcere. «Vergogna», «Indegna riabilitazione», toni duri dai parlamentari grillini.
Replica, Roberto Formigoni?
«Non ho nulla da rispondere ai 5 Stelle e ai loro lacchè. Ho visto un diritto calpestato, ho fatto ricorso e mi è stata data ragione all’unanimità. Ma si capisce di cosa stiamo parlando? La norma sulla revoca della pensione per i condannati era stata introdotta nel codice penale dal ministro fascista Alfredo Rocco. Dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale nel 1966 era stata reintrodotta nel 2015 dall’Ufficio di Presidenza del Senato retto da Pietro Grasso. La legge del 2019 in materia di reddito di cittadinanza consente la sospensione dei trattamenti previdenziali solo in alcuni casi che non mi riguardano».
I 5 Stelle dicono che si ci fossero stati loro in commissione, la cosa non sarebbe passata.
«C’era un loro senatore che poi li ha abbandonati quando ha capito cos’erano».
Parla di Alessandra Riccardi passata alla Lega, ora nel centrodestra.
«Appunto. Un’altra che ha lasciato i 5 Stelle quando ha capito che erano un bluff».
Il Fatto ha fatto i calcoli. Le daranno 7 mila euro al mese. Davvero troppi di questi tempi...
«Non risponde a verità. Nella sentenza che mi dà ragione non c’è scritta la cifra che deve essere elargita a Roberto Formigoni. L’altra sera abbiamo fatto il calcolo con un gruppo di amici senatori. Dovrebbero essere 2.460 euro».
Mica pochi.
«È una pensione, non un vitalizio. Sono soldi miei accantonati con i contributi per due nomine al Parlamento Europeo, tre volte alla Camera e altrettanto al Senato. Lo Stato non spende un euro. A quella cifra si arriva dopo i tagli degli ultimi anni».
Spiccioli, a confronto dei 47 milioni di euro di danno che ha fatto alle casse di Regione Lombardia. Il calcolo è del Consiglio di Stato, ricorda Sinistra Italiana.
«È falso anche questo. Stiamo parlando in punta di diritto. La Costituzione dice che il trattamento pensionistico spetta a tutti, anche a chi commesso un omicidio. La legge del 2019 lo esclude solo per i reati di mafia e di terrorismo. Cose che non riguardano Roberto Formigoni. Ho lavorato tutta la vita e messo via dei soldi. Poi ho commesso delle colpe, o le avrei commesse. Mi hanno sequestrato tutto. Anche i cinque appartamentini che avevo con i miei fratelli che sono dovuti andare dall’avvocato per riavere la loro parte. Oggi vivo in una casa prestata da un amico. Si vorrebbe che vivessi con che cosa, senza un euro?».
Cosa fa, pensa che ce l’abbiano con lei?
«A volte ho questa impressione. Tutti sanno che il governo di Roberto Formigoni in Lombardia è stato molto buono. Mi hanno eletto quattro volte, dieci milioni di cittadini. La Sanità era eccellente sul versante ospedaliero e territoriale».
Veramente dicono che all’origine del disastro sanitario di questi tempi ci sia proprio la sua gestione.
«Nelle classifiche nazionali e internazionali la sanità lombarda era buona, molto buona. Il livello territoriale è stato distrutto dal mio successore Roberto Maroni. Ma c’è chi ha ancora il rospo in gola per quello di buono che ho fatto».
Ha ricevuto messaggi di solidarietà oltre gli insulti? Ha sentito Silvio Berlusconi?
«Tantissimi, anche da gente comune. Ho il telefonino pieno. Da Berlusconi no. So che è malato...».
Lei è agli arresti domiciliari. Quando finiscono?
«Tra un paio di anni».
Lei è stato condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere per corruzione. Colpevole o ingiustamente condannato?
«Non voglio esprimere un mio parere. Il mio difensore in Cassazione, l’avvocato Franco Coppi, uno dei massimi penalisti italiani, ha dichiarato: "Roberto Formigoni è un condannato senza una prova, senza una colpa"».
Cosa c’entrano i viaggi di lusso che le regalavano con quello che diceva di essere?
«Ho fatto due vacanze un po’ fuori dal comune. Mi aveva invitato il mio amico Piero Daccò che poi è stato condannato per cose sue. Avendo disponibilità invitava venti amici. Sono cose che non rifarei, erano inappropriate ma nulla a che fare con un reato».
Ora che fa?
«Lavoro, leggo, studio. Ho scritto un libro, Una storia popolare. Sono 530 pagine, la mia storia».
E quando avrà espiato la pena?
«Ho dei progetti. Non penso a un impegno attivo in politica. Farò il coach. Ancora oggi incontro tanti che mi chiedono consigli».