il Fatto Quotidiano, 16 aprile 2021
Intervista ad Achille Lauro
“Mamma ha scoperto che facevo il musicista solo dopo aver letto una mia intervista”.
Possibile, Achille Lauro?
Sono sempre stato molto riservato. Però lei, per me, c’è stata in ogni momento, anche dopo la mia uscita di casa, a 14 anni.
Roma, quartiere Tufello. Bordi di periferia.
Peggio. Tra la campagna e il Far West.
Strade neorealiste. Girarono lì la scena dei “Soliti ignoti” con Capannelle che va a cercare Mario, uno che ruba, e il ragazzino gli risponde che lì di Mario ladri ce ne sono cento.
Val Melaina. Allora era uno sterrato e metaforicamente lo è ancora. Andai con mio fratello in questa comune dove tra ragazzi facevano famiglia. E arte. C’era anche qualche cinquantenne. Non mancavano i disgraziati, i reietti, quelli che usciti di galera non sapevano ancora cosa volessero dalla vita. Si consolavano pensando che ‘se sono un delinquente almeno ho un’identità’. Io invece vengo da genitori onesti.
Un padre magistrato.
Chiamato in quel ruolo per meriti insigni, dopo una carriera all’università da professore di Diritto del lavoro. Non so quanti libri abbia scritto.
E lui cosa pensa del figlio popstar?
Il nostro rapporto, un tempo catastrofico per la separazione, si è ora risaldato. Abbiamo imparato a conoscerci poco a poco. Anche se a distanza, papà mi ha offerto un insegnamento fondamentale: ‘Tu dimmi chi vuoi essere, però decidi per te stesso. Non mi importa cosa fai, ma fallo in tempo’. È il mio comandamento. Anche se forse sono solo stato fortunato.
A fare cosa?
A intuire subito quale fosse la mia strada, mentre tanti miei amici si smarrivano senza capire in che direzione andare. Io avevo la mia agendina, ci scrivevo i cazzi miei, e le canzoni che avevo in testa. E gli indirizzi degli studi di registrazione in cui andavo a propormi, ogni giorno.
Renato Zero ha detto: ‘Io con le piume non facevo il clown, cantavo le problematiche della periferia e degli emarginati’. Una stoccata.
Zero è unico, come lo è Achille. Nessuno viene dal nulla, chissà quante volte avranno detto a David Bowie che aveva tratto ispirazione da Marc Bolan dei T.Rex. Le periferie? Io sostengo quella realtà, non solo economicamente, ma non vado a sbandierarlo in giro.
Sei album, questo nuovo si intitola ‘Lauro’, il suo vero nome.
Ogni lettera del nome simboleggia gli stili della mia musica, i cinque quadri presentati a Sanremo. Il glam rock con la sua teatralità, il r’n’r spensierato e sexy, il pop che in Italia è poco compreso, il punk anticonformista e infine la O dell’orchestra, i solisti che studiano e poi si mettono insieme per una grande opera. Accanto al mio nome in copertina c’è il disegno del gioco dell’impiccato, cioè il sottoscritto, che ha rischiato di fare una brutta fine. Ma l’ultima lettera è scritta in rosso, non in nero, e cambia il mio destino. Vado oltre.
È fatalista?
Ai miei amici ripetevo che il destino te lo crei con le tue mani. Siamo tutti nel mistero dell’esistenza, ma possiamo orientarla. A patto di farci un culo così, senza aver paura dei fallimenti, che sono parte del successo.
Anche in questo album si rivolge spesso al Padreterno. C’è un pezzo in cui ci dialoga, ‘A un passo da Dio’, in un altro lo dipinge con indosso una minigonna.
Provocatorio? Sono ipercredente. Ma Dio non ha genere, né sesso, è qualcosa di superiore che non ha forma.
E se dovesse fare una domanda a Dio?
‘Qual è il senso di tutto?’.
Ha provato a rispondersi da solo?
Non ci riesco. Nell’enigma della vita io continuo a tormentarmi. Sono malinconico se penso al passato e sognatore quando mi proietto nel futuro. Non voglio accontentarmi di quel che trovo qui e oggi. Nel presente trovo pace solo mentre scrivo. Ma appena finito un disco non lo ascolto più.
Questo nuovo è pieno di suggestioni.
Con due macroaree: una più introspettiva, dove affronto le tempeste dell’anima, e un’altra in cui spingo con punk e grunge. In Femmina e Marilù affronto il problema del maschilismo insidioso che si nasconde dietro la facciata della virilità a tutti i costi.
Lei incarna una sensibilità fluida e libera, in tempi in cui occorrono leggi per poter tutelare l’amore.
Qui parliamo di diritti umani. Se non ledo la libertà degli altri, perché devo darne conto agli omofobi? Condivido quel che dicono Elodie, Mahmood, Fedez.
In ‘Generazione X’ e ‘Solo noi’ affronta lo sbandamento dei suoi coetanei.
Rischiamo di diventare tutti schiavi della tecnologia. Dipendenti dalla mela di Jobs. In pandemia siamo stati privati della socialità, e gli effetti li vedremo tra dieci anni. Il tasso di depressione e degli istinti suicidi è fuori controllo. Per non dire dei ragazzini che non sono potuti andare a scuola.
Lei ci andava?
Non ho avuto un’istruzione ordinaria. Il liceo scientifico però l’ho frequentato.
Per quanto?
Tre settimane.