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 2021  aprile 16 Venerdì calendario

La beata scorrettezza del cinema che fu

Non dove, non come, che è ormai assodato, ma quando andremo a finire: molto presto, prima di quanto si possa pensare. Le polemiche e quindi le scuse obbligate – o obbligatorie? – di Michelle Hunziker e Gerry Scotti per la puerile e innocua scenetta sui cinesi a Striscia la notizia preludono a vittime eccellenti, e individuano lo stesso carnefice: il politicamente corretto.
Carlo Verdone il problema l’ha chiaro, non da oggi: “Per me continuare con questo politicamente corretto è un errore micidiale. A forza di seguirlo – ha detto lo scorso agosto all’arena del Piccolo Cinema America in Trastevere – uno si sente sempre incatenato e non riesce a esplodere, è così. Noi avremo dei grossi problemi in sede di sceneggiatura, faremo meno ridere, avremo meno battute, non si potrà dire più questo perché s’offende quello… E anche tanti miei colleghi incominciano ad averne un po’ le palle piene, perché il politicamente corretto sta diventando un po’ una patologia. E basta, per cortesia, basta!”.
Se la società, come l’arte e lo spettacolo, vuole strumenti di misura e parametri di giudizio coevi, il pericolo è di farci la bocca, ovvero emendare la nostra stessa storia. Sacrificarci sull’altare del politically correct: rischio cogente, con valore retroattivo. Nessuno potrebbe stracciarsi le vesti per la reprimenda alle “elle” al posto delle “erre” di Michelle e Gerry, giacché la questione si esaurisce agevolmente al kindergarten, ma qualora a repentaglio venisse messa la gloriosa commedia all’italiana?
Se il peccato è nell’occhio di chi guarda, dipende quel che si guarda: un conto è Striscia la notizia, un altro Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto (1974) di Lina Wertmüller, in cui Giancarlo Giannini apostrofava Mariangela Melato “Brutta bottana industriale socialdemocratica!”. E se oggi una socialdemocratica gridasse allo scandalo, che facciamo?, troviamo riparo tra i luddisti o esponiamo al pubblico ludibrio revisionista la somma Wertmüller, prima regista a essere candidata all’Oscar per Pasqualino Settebellezze nel 1977? Aveva capito tutto la Sandrine Bonnaire di Verso sera (regia di Francesca Archibugi, 1990), che così regolava il suocero Marcello Mastroianni: “Madonna, quanto siete arcaici quando fate i moderni!”.
Esistesse la macchina del tempo, i più illustri sceneggiatori di ieri nella migliore delle ipotesi oggi sarebbero disoccupati oppure pregiudicati: sessismo e atti ostili verso uno Stato estero – altro che Draghi… – per il Federico Fellini di Casanova, che s’inventò un “Possiate finire i vostri giorni nei più laidi postriboli della Turchia!”, destinato da Donald Sutherland a Carmen Scarpitta e Diane Kurys.
Non se la passerebbe bene nemmeno un monumento della comicità quale il principe De Curtis, che su imbeccata di Ettore Scola e Steno così si rivolgeva a Ugo Tognazzi in Totò nella luna: “Tuo padre era il guardiano dello zoo e tua madre, credi a me, durante la gestazione frequentava il reparto rettili”. Qui e ora insorgerebbero madri, padri, animali, animalisti, rettili, rettiliani e figli. Eppure, come ogni genio che si rispetti, Totò nello stesso film dava prova di elasticità mentale e di fluidità di genere: “Visto che ho un corpo, ho bisogno di una corpa. Mi sono spiegato?”.
Già che ci siamo, nel body shaming incapperebbero il Francesco Nuti di Madonna che silenzio c’è stasera, “Puppe a pera, tu c’hai le puppe a pera, pera pera pera…”, e l’Ugo Tognazzi de L’udienza (regia di Marco Ferreri, 1972), con gli ondivaghi complimenti a Claudia Cardinale: “Sei solo carne e cosce, carne e cosce. Belle magari…” e “Non ti abboffare che t’allarghi, ti vengono le gambone. Belle queste gambone popolane, sode…”.
Ancora più riprovevoli gli Amici miei (1975) scritti da Pietro Germi, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi, Tullio Pinelli e diretti da Mario Monicelli: dal “Descrivimi minuziosamente come sono fatti i tuoi capezzoli!” del Conte Mascetti (Ugo Tognazzi) al “Ragazzi, come si sta bene tra noi, tra uomini! Ma perché non siamo nati tutti finocchi?” del Melandri (Gastone Moschin), c’è di che indignarsi, alla voce molestie e discriminazione sessuale.
Per tacere del turpiloquio botta e risposta, ancora il Mascetti: “Dove sei stata, troia? – A cavallo! – Di chi, puttana?”. Il Conte incarnato da Tognazzi aveva gusti precisi, “Culo alto, ci fo un salto”, e la rima ingolosiva anche il Marcello Mastroianni del Ginger & Fred felliniano: “Chiappa tonda, fava gioconda!”: a posteriori, ehm, sarebbero dolori.
Nel caso, li condividerebbero con un loro pari, il Vittorio Gassman di Profumo di donna (regia di Dino Risi, che scriveva con Ruggero Maccari dal romanzo di Giovanni Arpino, 1974): “Cosa credi? Che io soffra perché non posso più vedere i tramonti, o la cupola di San Pietro?! Il sesso! Le cosce! Due belle chiappe, ecco la sola religione, la sola idea politica, la vera patria dell’uomo! Hai capito?! La fica!”. Sì, sarebbero tutti a spasso, attori e sceneggiatori, Tognazzi e Carlo Lizzani (regista), Luciano Vincenzoni, Sergio Amidei de La vita agra (1964): “La prostituta che specializzandosi si riduce a macchina e diventa la cortigiana, la mondana, la battona, la cagna, la mignotta, la zoccola, la ragazza squillo, la passeggiatrice e poi giù fino ad arrivare alla barbona, alla busona, alla spolverona, alla merdaiola”, Gassman e Risi (regista), Scola, Ruggero Maccari de Il sorpasso: “Sei razzista? -No, no. E tu? -Figurati, non mi conosci. Una volta sono stato con una che era ebrea e pure negra”.
Moriremo, insomma, politicamente corretti, meno italiani e infinitamente più puntuali. Senza sorpresa.
Orson Welles ci aveva avvisati settant’anni fa, ne Il terzo uomo di Carol Reed (1949): “In Italia per trent’anni, sotto i Borgia, vi furono guerre, terrore, omicidi, carneficine, ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera non ci fu che amore fraterno, ma in cinquecento anni di quieto vivere e di pace che cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù”.