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 2021  aprile 16 Venerdì calendario

Afganisthan, le conseguenze del ritiro delle truppe sulle scuole

L’annuncio del ritiro Usa e Nato dall’Afghanistan non è una bella notizia per chi, come me, opera in quel Paese dal 2005 in campo umanitari. In 16 anni, grazie al progetto Arghosha (vedere riquadro), abbiamo costruito 15 edifici per 7 mila alunni (5mila ragazze) che frequentano la scuola di Stato, oltre ad avere finanziato borse di studio universitarie per 22 ragazze e centinaia di corsi di alfabetizzazione e qualificazione professionale per donne adulte. Per quanto operiamo nel centro del Paese, in una zona pacifica, il futuro si fa più incerto.
Il ritiro era però una notizia attesa. Gli Usa avrebbero dovuto rimanere ancora anni per costruire uno Stato nazionale moderno sulle rovine di una struttura feudale-tribale. E ciò considerando che, mentre noi, con un paio di milioni di dollari provenienti da donatori privati, abbiamo fatto miracoli, migliaia di miliardi di dollari
della cooperazione occidentale, Usa in testa, hanno partorito un topolino. Certo, alcune importanti opere di infrastruttura hanno visto la luce, ma a prezzo di immensi sprechi e scarsi risultati per la
vita degli afghani.
L’annuncio è invece un’ottima notizia per i Talebani. Almeno sul piano formale. Con 70-80mila uomini armati, peraltro tenuti in scacco da qualche migliaio di americani e truppe Nato, oltre che dall’esercito afghano, con il ritiro occidentale si ritrovano un regalo su un piatto d’argento. Anzi, potranno anche permettersi il lusso di tirare qualche schioppettata alla schiena delle truppe in ritirata, ree secondo loro di non avere rispettato la partenza di maggio concordata con Donald Trump.
Sul piano sostanziale, il ritiro degli Occidentali non è però una buona notizia per i Talebani. Compiere sortite, azioni terroristiche, prendere il controllo di povere campagne (finora nessuna città), in particolare a Sud e Est del Paese, zone di etnia Pashtun, da cui i Talebani traggono gran parte delle proprie forze, non è una credenziale sufficiente per guidare il Governo. L’Afghanistan che lasciarono i Talebani nel 2001, con una sola stazione radio che cantava preghiere, 4 mila linee telefoniche fisse, un paio di milioni di studenti a scuola, di cui pochissime donne e quasi nessuna all’università, è lontano anni luce. Oggi 11 milioni di ragazzi, di cui oltre un quarto donne, vanno a scuola, 160mila, di cui 30mila donne, sono all’Università, 15 milioni hanno telefonini, mentre ci sono 45 stazioni radiofoniche e 12 televisive. Varie opere di infrastruttura sono state costruite e Kabul è profondamente migliorata. Come pure le altre 3 grandi città di Mazar, Herat e Kandahar. Un’intera generazione non ha conosciuto la guerra e non ha idea di cosa sia stare sotto i Talebani. Come li accoglieranno? E le donne che hanno visto migliorare la loro condizione nei diritti civili? Torneranno a imbacuccarsi e a chinare il capo?
Il Governo Ghani, grazie agli Occidentali, ha potenziato le forze militari, in particolare l’aviazione. I reparti speciali dell’esercito (Ana) hanno mostrato buone capacità di combattimento. In queste condizioni, Kabul ha intenzione di vendere cara la pelle. In mancanza, nel caso il Governo cadesse, le varie etnie del Centro e Nord del Paese (Tagiki, Hazara, Uzbechi, Turcomanni) che, con l’aiuto Usa, diedero la spallata ai Talebani nel 2001, potrebbero riarmarsi per difendersi. Hanno iniziato da un anno, quando è stato chiaro che Trump aveva deciso di mollare il mazzo. Nelle regioni in cui operiamo, giunge voce che si stanno organizzando milizie armate. Infine, un Paese che, al di là dei proventi della narco-economia (in buona parte in mano talebana) deve 2/3 degli introiti agli aiuti internazionali, in caso di boicottaggio della comunità mondiale si troverebbe in serie difficoltà di sopravvivenza. I Talebani lo sanno bene.
Insomma, piuttosto che di un takeover dei Talebani, le probabilità più elevate nel breve medio-periodo sono purtroppo quelle di una nuova guerra civile che stroncherebbe il Paese. Oltre a risucchiare le mire di grandi potenze internazionali e regionali come Cina, Russia, India, Pakistan e Iran, attratti dalle enormi risorse minerarie, quantificate dalla Cia in oltre 3mila miliardi di dollari. Vorrei pensare che i Talebani, al di là della voce grossa, mostrino realismo di fronte a un Paese diverso da quello che hanno lasciato. É putroppo anche vero che, dopo anni di propaganda intransigente, se assumessero posizioni morbide perderebbero la faccia, specie con la base militante che tengono motivata combattendo. Un afghano
delle campagne campa con 700 dollari l’anno. Un Kalashnikov costa mediamente 400. Se si aggiunge un salario di 100/200 dollari al mese, combattere è il mestiere migliore.
Insomma, vorrei confidare nel buon senso di tutti. Dopo 40 anni di sofferenze, una nuova guerra civile sarebbe una follia, anche per le menti più fanatiche. Quanto a noi, noi tiriamo dritti. Stiamo costruendo la 15esima scuola per i figli dei pastori e contadini del Hindukush centrale. Ce l’hanno chiesta loro, donando la terra su cui sorgerà. Fino a che ci sosterranno i nostri donatori, noi sosterremo i nostri amici afghani.