il Giornale, 15 aprile 2021
Così Croce e Gentile inventarono il mito di Leonardo
Il mito di Leonardo per molto tempo ha impedito di conoscere da presso il genio di «da Vinci». Non sembri un paradosso. Nel 1796, per volere di Napoleone, i manoscritti leonardeschi della Biblioteca Ambrosiana di Milano furono requisiti. Prima di allora non sembra che alcuno ebbe granché interesse per gli scritti d’arte e di scienza dell’autore della bellissima e misteriosa Gioconda. Accade spesso, del resto, che nell’avvio delle cose italiane ci sia di mezzo Bonaparte. Così fu Giovanni Battista Venturi, in missione a Parigi, a chiedere alla Bibliothèque de l’Institut de France di stendere un catalogo della collezione; e poi fu la volta del matematico Guglielmo Libri nell’esaltare il «genio sublime» di Leonardo consultando il Codice Atlantico all’Ambrosiana e il catalogo dei manoscritti a Parigi. Da allora il mito del Genio di Vinci s’impose in Europa e nel 1905 a Milano fu istituita la Raccolta Vinciana. Ma lui, Leonardo, chi veramente fu?
Se lo chiesero, al principio del secolo scorso, anche i due massimi filosofi italiani del Novecento: Croce e Gentile. Il primo nel 1906, presso il Circolo Leonardo di Firenze, tenne un’allocuzione intitolata Leonardo filosofo (che successivamente fu inserita da Croce nel libro Saggio sullo Hegel del 1913); il secondo il 19 maggio 1919 parlò al Lyceum di Roma sullo stesso tema: Leonardo filosofo (il testo della conferenza apparve poi sulla Nuova Antologia). Negli interventi dei due filosofi il mito di Leonardo è criticato ma, proprio in ragione di questa demitizzazione, la grandezza dell’artista e dello scienziato viene ad acquisire maggior robustezza e un’intelligenza storiografica difficilmente scalfibile. Oggi questi due scritti sono stati saggiamente riuniti in un testo edito da La nave di Teseo che reca il titolo che già fu ragionato e illustrato da Benedetto Croce e Giovanni Gentile: Leonardo filosofo (pagg. 128, euro 12).
Pier Davide Accendere, giovane storico della filosofia, cura il testo e giustamente rileva nel suo saggio conclusivo che il fascino di Leonardo – e, si direbbe, la «storia degli effetti» della sua ricezione – costituisce «uno dei miti fondativi più durevoli della modernità occidentale» che condiziona inevitabilmente la conoscenza dell’opera e del pensiero di Leonardo. Così oggi gli scritti di Croce e Gentile risultano massimamente utili per il lettore contemporaneo che inevitabilmente giunge a Leonardo attraverso il mito di Leonardo. A dispetto del titolo, sia Croce sia Gentile, sia pure da diversi angoli visuali, contestano che si possa vedere in Leonardo un filosofo. Per Croce in Leonardo «sembra quasi che nasca tutta la scienza moderna, e che egli la consegni ai secoli successivi come un grandioso abbozzo» per cui il suo nome è nella schiera «dei Copernico, dei Galilei, dei Kepleri, dei Newton» e la sua mente è tutta versata nel calcolo e nell’esigenza di ricondurre il mondo alla matematica e quasi di ridurlo ad essa per dominarlo. Dunque, Leonardo non è filosofo se non in senso «in diretto» ossia perché il moto della rivoluzione scientifica obbliga lo stesso pensiero speculativo a ridefinirsi e perfino, come accadrà con nettezza da Kant in poi, a diventare «filosofia della scienza» o epistemologia. Per Gentile, Leonardo non è un filosofo perché non ha lasciato opere filosofiche, né una scuola di filosofia, né in lui era preminente l’interesse teoretico e, tuttavia, anche se Leonardo non appartiene alla «casta dei filosofi di mestiere» – come chiosa Pier Davide Accendere – è pur vero che «egli, al pari di ogni uomo, ha la sua filosofia; al pari di Dante, ha una rigorosa filosofia dentro a quella forma in cui il suo spirito grandeggiò». E questa forma è senz’altro ora quella dell’arte, ora quella della scienza. Così Croce può dire che «ciò che Leonardo veramente adora, non è lo Spirito, ma l’Occhio» con cui «abbraccia la bellezza dell’universo»; da par suo Gentile può dire, nella pars costruens della sua critica, che Leonardo scruta la natura «con paura e con desiderio: con desiderio di scoprirne i miracoli; con la paura religiosa che suscita lo spettacolo delle sue forze indomabili. Questa è la sua scienza: una ricerca instancabile».
I due saggi di Croce e di Gentile sono, insieme, degli scritti di storia e di filosofia – che per entrambi son la medesima cosa – ancora oggi esemplari: riescono bene a intendere lo svolgimento dell’opera di Leonardo perché si rifanno entrambi alla filosofia come autocoscienza e la loro teoria è robusta perché si sposa e nasce a un parto con la storia. Se ne giova, ieri come oggi, proprio la figura di Leonardo che viene salvato dal suo mito che rischia di diventare una gabbia o un peso. Leonardo diceva di essere «omo sanza lettere» e riconosceva la sua maestra nella «esperientia» e nella «cogitatione mentale». Questa esperienza a cui faceva riferimento era, in realtà, la bottega del Verrocchio che da buona e ottima bottega rinascimentale era la progenitrice del moderno laboratorio scientifico. Con la differenza che nella bottega c’era più arte. Non a caso il prodotto finale sarà, appunto, Leonardo.