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 2021  aprile 15 Giovedì calendario

Il problema di tirare giù i satelliti

Nello spazio c’è un bel problema: può succedere una catastrofe in ogni momento, ma niente panico, non ci tocca, a noi che siamo sulla Terra. Centinaia di migliaia di detriti provenienti da satelliti del passato orbitano tranquillamente in orbita bassa, fra i 400 e i 1.000 chilometri dal suolo, a più di ventimila chilometri al secondo. Si sfiora quindi un incidente grave in ogni momento, se uno di questi pezzi della cosiddetta “spazzatura spaziale” dovesse urtare e danneggiare uno dei 3mila satelliti oggi in operazione a quelle quote. Rischiamo insomma che un bullone da 1 centimetro colpisca e metta fuori uso un satellite che oggi può costare dai 500.000 dollari al mezzo miliardo e più, interrompendo anche un servizio, come trasmissioni, posizionamento globale, Gps, monitor dei mari o dell’atmosfera, fondamentale per la nostra vita sulla Terra. 
Ogni problema però ha il suo doppio in una corrispondente opportunità di business per chi riuscirà a risolverlo, o almeno a ridurlo. Non facile nel caso dei detriti spaziali, ma i tentativi, anche molto recenti, ci sono e startup come la giapponese Astroscale o la svizzera Clearspace, ci provano seriamente, mentre l’italiana D-Orbit propone una soluzione per prevenire il peggioramento della situazione che, con l’aumento costante dei satelliti rischia di far collassare il sistema e rendere impossibile piazzarne di nuovi. È il cosiddetto effetto Kessler. 
Nello spazio abbiamo finora agito con grande stupidità, come se fosse una risorsa infinita e lasciando che satelliti “morti” e detriti di tutti i generi e di ogni dimensione restassero in orbita come proiettili perennemente vaganti. Un pericolo incredibile per i 3mila satelliti attualmente in esercizio o per la Stazione spaziale internazionale – 100 miliardi di dollari il suo costo -, che rischia di essere messa fuori uso da un satellite “zombie” che la colpisca. 
Si stima che siano almeno 160 milioni i detriti spaziali con dimensioni dal centimetro ai metri, per complessive 9mila tonnellate circa. Le dimensioni sono molto importanti: i detriti più grandi sono continuamente monitorati da terra e ogni agenzia spaziale ne ha un suo catalogo, che rappresenta la vera ricchezza dell’opera di sorveglianza. Esiste una collaborazione, ma può essere migliorata, come ammette un importante rapporto della Nasa sul problema, del gennaio scorso. Anzi deve, non solo può essere migliorata, dato che una singola Agenzia spaziale o di protezione civile non può pensare di risolvere il problema. I detriti di grandi dimensioni sono quindi tenuti d’occhio, ma quelli di piccole dimensioni, e sono la gran parte, sfuggono a ogni controllo e così un bullone da un centimetro, a 25mila chilometri all’ora, può fare dei gran danni, anche letali, a un satellite da un miliardo di dollari. 
Ci si sono messi un poco tutti a produrre detriti: esplosioni deliberate in orbita, tipicamente per scopi militari, o perdite di carburante forniscono da sole il 63% dei pezzi di satellite in orbita e gli esempi sono anche molto recenti. 
Il 15 marzo scorso la Stazione spaziale internazionale ha rilasciato un grande contenitore con 2,9 tonnellate di batterie esauste, che resterà in orbita per due o quattro anni e poi entrerà in atmosfera vaporizzandosi completamente, almeno si spera. 
Ma c’è anche chi sospetta prove di guerra spaziale, dato che sono esplosi, nell’ultimo mese, due satelliti apparentemente funzionanti, uno cinese e uno americano. 
Nei giorni scorsi è andato in orbita Elsa D, acronimo di End of Life System della robusta startup giapponese Astroscale. Si tratta di un sistema di due satelliti, rispettivamente di 175 e 17 chili che sono arrivati in posizione assieme. Ora si distanzieranno e il più grosso cercherà di riprendere il secondo per agganciarlo anche con elettromagneti, per poi rilasciarlo e continuare così, come il gatto col topo, fino a quando ritorneranno verso l’atmosfera, vaporizzando pure loro. Un’esperienza preziosa perché nessuno sa bene come fare a riportare a terra la massa mostruosa di oggetti pericolosi che circolano a quell’altezza. Altri hanno pensato a reti spaziali con cui pescare letteralmente i detriti, altri hanno in cantiere satelliti con bracci robotici per catturare almeno i più grossi. 
Per il momento occorrerebbe rendere obbligatoria una soluzione come quella offerta dall’italiana D-Orbit, che prevede l’installazione di un motore, anche modesto, che deorbiti verso la Terra un satellite al termine della sua missione.
Insomma, a lanciare satelliti son capaci tutti, ma a tirarli giù ancora nessuno.