la Repubblica, 15 aprile 2021
Gli italiani morti nei vent’anni di guerra in Afghanistan
Che cosa hanno fatto, per vent’anni, gli italiani in Afghanistan? Di tutto: hanno combattuto, hanno ricostruito, hanno addestrato. E sono morti come i soldati di tutti gli altri contingenti della Nato che hanno visto i loro compagni cadere in questa missione incompiuta contro Al Qaeda e i talebani: 53 vittime.
Giorgio Battisti, generale di corpo d’armata dell’Esercito, fu il primo comandante militare italiano ad atterrare a Kabul poche ore dopo la decisione del governo Berlusconi di riaprire l’ambasciata e schierare un contingente militare a sostegno degli americani e del governo di Hamid Karzai. «Gli americani con i bombardamenti aerei e con l’azione a terra dell’Alleanza del Nord in poche settimane fra ottobre e novembre 2001 liberarono Kabul. E noi con un primo volo il 31 dicembre arrivammo assieme al nuovo ambasciatore che riapriva l’ambasciata che da tempo era stata congelata».
A gennaio Battisti guidò il primo contingente e sarebbe tornato in Afghanistan per altri tre turni, tra cui capo di stato maggiore di tutte le forze Nato. All’inizio le missioni militari erano due: “Enduring Freedom”, la missione combat, guidata dagli americani che muovevano guerra a talebani e qaedisti in tutto il paese. E poi l’Isaf (International Support and Assistance Force) che aveva il compito all’inizio di sostenere il governo Karzai ed effettuare peacekeeping nell’area di Kabul.
«Dal gennaio 2003 la task force Nibbio di mille uomini dell’esercito italiano partecipò alle fasi di combattimento più importanti per la Difesa italiana dalla fine della Seconda guerra mondiale». L’Italia mise boots on the ground, scarponi sul terreno: la task force operava nella regione di Khowst, al confine col Pakistan. Il compito era di impedire infiltrazioni di talebani e di terroristi. La missione italiana continuò sotto il comando di Isaf che divenne un’operazione di combattimento. Con il pesante bilancio di 53 caduti, tra cui un funzionario dei servizi di sicurezza, e di centinaia di feriti e mutilati che ancora portano sul loro corpi i segni di quelle missioni in Afghanistan.L’Italia con il suo contingente (che raggiunse anche le 4mila unità) in Isaf: la missione internazionale poco alla volta si schierò su quasi tutto il territorio afgano. Isaf iniziò nel gennaio 2002: all’inizio vendeva la presenza di contingenti di 19 paesi sotto la guida inglese; dal 2003 la missione divenne in tutto e per tutto una operazione Nato. Nella sua fase finale Isaf ha operato con il comando centrale a Kabul, e quattro comandi territoriali, a Mazar-i Sharif, Herat, Kandahar e Jalalabad. All’Italia è stata assegnata la regione di Herat, al confine con l’Iran.
Oggi fra Kabul ed Herat ci sono solo 895 uomini e donne, ma per anni non si era mai scesi sotto i 2mila, e le azioni “cinetiche” erano parte della missione. Da tempo si è passati a una missione “Taac” (Train, advise, assist, command), sostegno e addestramento alla polizia e all’esercito afgano. Da quando è stato nominato ministro della Difesa, Lorenzo Guerini ha fatto almeno quattro visite in Afghanistan, soprattutto per capire come dovrà essere organizzato il ritiro del contingente italiano da un paese in cui forze straniere sono state protagoniste per 20 anni. In queste settimane il generale di brigata Beniamino Vergori, comandante della Folgore, guida il contingente italiano. Dal gennaio Isaf è diventata “Resolute Support": serve a rinsaldare le forze armate afgane contro i talebani. Gli italiani se non altro si sono impegnati anche in altri compiti, come formare il personale del controllo del traffico aereo e riabilitare alcuni aeroporti nella regione. L’impressione è che, purtroppo, di questi 20 anni di impegno militare uno dei pochi lasciti positivi saranno proprio i controllori di volo addestrati dall’Aeronautica. Per un giudizio sul bilancio militare bisognerà aspettare, capire cosa decideranno di fare i talebani a partire dall’11 settembre.