il Fatto Quotidiano, 14 aprile 2021
l’horror romantico di De Sica (jr)
Nipote di Vittorio, figlio del compositore Manuel e della produttrice Tilde Corsi, Andrea De Sica il cinema l’ha sempre respirato in casa. A differenza di tanti figli d’arte, però, ha aperto la finestra: dopo l’opera prima I figli della notte e le tre stagioni della serie Baby, Non mi uccidere ne conferma, ed estende, il talento.
“Thriller d’amore” o “favola nera”, dal 21 aprile disponibile per acquisto e noleggio su una teoria di piattaforme (Prime Video, Chili, Sky Primafila, YouTube…), è una prova di furbizia, adiuvata al tavolo di scrittura da Gianni Romoli e il collettivo Grams, e di fedeltà a se stesso, se vogliamo esagerare, di continuità autoriale.
De Sica prende l’Alice Pagani di Baby, che la morte farà letteralmente Bella, e Rocco Fasano, dichiarato sosia di Robert Pattinson alias Edward, e si predispone al calco di Twilight a uso e consumo del pubblico di riferimento, ma poi scarta bruscamente, non si limita alla copia conforme dell’“horror travestito da soprannaturale” bensì affonda i canini “con audacia in una dimensione altra, senza paura”, trovando sapide scene di sesso, corpi sbranati e torture assortite. Alla storia di Mirta (Pagani) che ama Robin (Fasano) fino a farsi plagiare, non concede limiti: si ritroveranno dopo la morte, ancora vivi, con Mirta costretta a cibarsi di carne umana – sul set Pagani ha abbracciato il vegetarianismo, c’è da capirla – e a sfuggire ai Benandanti che cacciano i Sopramorti come lei.
De Sica sconfessa simmetrie ed eredità cinematografiche – oltre a Twilight ci sono invero almeno Only Lovers Left Alive, The Bad Batch e Lasciami entrare – e Romoli perfeziona il distacco dal libro omonimo di Chiara Palazzolo –. “Il film è più pop, meno filosofico, meno wittgensteiniano” –, tutti parlano di romanzo di formazione, di coming of age: “Lotta per diventare grande, accettazione del mostro che si è, qualcosa di normale per noi giovani”, secondo Pagani.
Prodotto con intelligenza da Vivo Film per Warner Bros., Non mi uccidere è davvero ben congegnato, dall’eredità letteraria alla sceneggiatura “vecchia e giovane”, dal cast – dove troviamo volti giusti e, insieme, idee di audiovisivo diverse, da Fabrizio Ferracane a Silvia Calderoni, da Giacomo Ferrara a Anita Caprioli – alla partitura musicale (con De Sica Andrea Farri) della regia: la sintesi sta nella miscela di genere e autorialità, e ormai anche alle nostre latitudini non dovrebbe fare più notizia.
Accanto alle scene action sapientemente coreografate e ai rovelli esibiti da De Sica, “la fascinazione del male, gli aspetti notturni della nostra mente, il romanticismo”, c’è però un ulteriore elemento che discosta, e al contempo eleva, il film dal “genere d’autore” e gli garantisce fattura e appeal internazionale: l’adesione, forse un po’ paracula di certo efficace, allo spirito del tempo, ovvero alla preminenza femminile, se volete, all’istanza femminista. Mirta è la protagonista assoluta, Pagani ruba la scena, e ancora non basta: la liaison eterosessuale passerà il testimone alla sorellanza. Ed è, promette De Sica, un traguardo ideologico: “Troppe volte abbiamo messo il maschio al primo posto, qui c’è l’universo femminile, il legame sororale, con un finale catartico: in un mondo che tende a sottometterle, le donne hanno l’ultima parola”.