La Stampa, 14 aprile 2021
Cento giorni alle Olimpiadi di Tokyo
A 100 giorni dal via le Olimpiadi di Tokyo sembrano un treno in corsa che nessuno può più fermare: hanno preso troppa velocità. Strano, danno l’idea di essere immobili: senza test event per battezzare gli impianti, con tante qualificazioni ancora bloccate, vuote di feste e cerimonie e insieme spinte da onde emotive e pressioni economiche che hanno raggiunto la soglia del non ritorno.
La fiaccola che gira in un parco chiuso di Osaka, confinata in 3 km per ore e ore è l’immagine di un controsenso difficile da smontare. Questi Giochi vivono di contraddizioni e probabilmente se il governo giapponese nel 2020 avesse saputo che, un anno dopo, si sarebbe trovato più o meno nelle stesse condizioni, avrebbe annullato l’evento. Ma volevano salvare il salvabile e ora lo devono fare per forza. Loro, il Cio, lo sport.
Dentro questa centrifuga, che molto rumorosamente brucia energie senza mai riuscire a strizzare via i dubbi, ci sono infiniti obblighi e pure diversi slanci. Quando i vertici dei Cinque Cerchi, a qualsiasi livello, ripetono che Tokyo sarà «una ripartenza, la speranza oltre il trauma», non mentono. Nonostante la retorica. È vero: dopo aver tenuto tutto in stallo, comprese le preparazioni di migliaia di atleti, con assetti precari, federazioni in cambiamento, svolte al guinzaglio, mollare la presa senza gareggiare significherebbe far saltare un sistema. Finanziariamente e psicologicamente. Una generazione di campioni rimarrebbe incastrata. Poi c’è il Comitato olimpico che incassa quasi tutto il proprio budget dai diritti televisivi dei Giochi. Se saltassero dovrebbero restituire cifre pesanti, tanto da far tremare l’intera struttura. Così si regge, si tengono le Olimpiadi sottovuoto, ermeticamente protette e conservate a dispetto di ogni ragionevole perplessità.
Il Covid non è certo sotto controllo e qui si parla del mondo intero che si ritrova in una stessa città, in un Paese che ha iniziato a vaccinare lentamente alla fine di febbraio. Possono solo mettere in piedi piani rigorosi e aggiornarli di continuo, però non sono in grado di garantire nulla. Proprio in questi giorni il Giappone vive la sua terza ondata, vero che hanno contenuto i morti, ma la stragrande maggioranza sono stati registrati nella provincia di Tokyo. E la gente non si fida. L’ultimo sondaggio risale a tre giorni fa e dice che il 72 per cento della popolazione non ne vuole proprio sapere delle Olimpiadi. Erano l’80 per cento a gennaio e la lieve risalita, che non sposta le preoccupazioni, è dovuta agli atleti di casa e alle loro storie coraggiose. Come quella di Rikako Ikee, nuotatrice che ha acciuffato la qualificazione a due anni dalla leucemia. Eppure anche su questo fronte coesistono incastri complicati: il ginnasta Uchimira, una delle facce più note della nazionale, ha cercato di diffondere entusiasmo, demolito via social. E Hitomi Niiya, record nazionale dei 10. 000 metri, ha detto la frase diventata motto: «Come atleta sto al 100 per 100 con questi Giochi, come cittadina no». Riuscire a conciliare entrambi i due lati toglie l’aria e descrive a pieno che cosa si prova a stare su quel treno in corsa.