La Stampa, 14 aprile 2021
Intervista ad Antonio Scurati
Con i dittatori dobbiamo avere rapporti, ma senza dimenticare i nostri valori e senza perdere la nostra anima. Così dice Antonio Scurati autore di M, la saga del duce del fascismo, per ora uscita in due volumi pubblicati da Bompiani. Gli abbiamo chiesto se era d’accordo con Mario Draghi che ha definito il presidente turco Erdogan un «dittatore». Ne è nato un confronto sullo stato - incerto - delle democrazie.
Lei lavora da anni sulla figura di Mussolini. È d’accordo con la definizione di Draghi?
«Sì, anche se sono rimasto sorpreso. Lo considero un atto verbale al tempo stesso ingenuo e sapientissimo, espresso con quella forza dello scandalo in senso evangelico, come il bambino che dice: il re è nudo».
Draghi come un bambino?
«Ovviamente non lo penso. Ma credo che, in base alla nostra cultura democratica occidentale, la Turchia odierna non sia affatto una democrazia».
E ci vede delle similitudini con Mussolini?
«Le somiglianze non sono poche. L’aspetto più interessante è l’avvento e la conquista del potere da parte di un uomo che calamita su di sé anche consensi vastissimi, militanti, di una buona parte della popolazione turca».
Qual è la sua definizione di dittatura?
«Non ne ho una univoca. La distinzione rispetto all’antichità è che quelle di oggi non si propongono come sospensioni temporanee dell’ordinamento democratico, ma come organizzazioni del potere dichiaratamente alternative e preferibili alla democrazia. È questo il novello il convitato di pietra che siede alla nostra tavola».
Quindi secondo lei siamo stati vittima dell’illusione che la democrazia fosse acquisita per sempre?
«Eravamo abituati a pensare in termini universalistici alla democrazia a partire da un senso di superiorità etica. Dittatura e dispotismo sono invece fenomeni umani totali, antropologici. Non è ovvio che la democrazia possa esistere. Mussolini e Hitler dicevano che gli Stati totalitari erano preferibili agli Stati democratici e non se ne vergognavano. Ci sono politici anche prossimi a noi che non oserebbero dichiararsi antidemocratici, ma che prendono posizioni aperte contro la democrazia».
Anche in Italia?
«L’esempio di scuola, al di là di quello che sarà il pronunciamento della magistratura, il momento in cui Salvini ministro dell’Interno forza la consuetudine e forse anche alcune leggi per impedire gli sbarchi dei migranti, creando un confitto nelle istituzioni e accreditando l’idea che la violazione delle consuetudini democratiche è preferibile alle consuetudini democratiche».
Però poi tutto è rientrato nel gioco democratico e dell’equilibrio dei poteri. I dittatori nella storia diventano tali con la violenza.
«Le politiche esplicitamente antidemocratiche cent’anni fa si avvalevano della violenza fisica fino all’omicidio. Oggi agiscono all’interno delle regole del gioco democratico per indebolirle, diffamarle, disprezzarle. Pensiamo a Donald Trump. È eletto in modo democratico, salvo l’ombra non da poco del sostegno dei pirati informatici russi. Ma una volta al potere continua a ostentare quel disprezzo per le istituzioni su cui si regge la democrazia americana fino all’inquietante e grottesco assalto fisico finale».
Ecco, però poi ha perso le elezioni. In Turchia, tra due anni, ci saranno nuove elezioni: le principali città, Istanbul, Ankara e Izmir, sono governate da sindaci di opposizione. Il potere è contendibile, non le sembra?
«Il mio no è netto. Se tu incarceri anche un unico oppositore su 70 milioni di abitanti, il potere non è contendibile, la partita è truccata, vige un clima di paura per la propria incolumità. Nelle dittature il corpo ha un’importanza centrale, pensi a quello di Mussolini, prima adorato e poi massacrato. Se la tua opinione politica può metterti in pericolo fisicamente, non sei più in un clima democratico».
Come nel caso estremo del corpo dell’oppositore Navalny, in Russia?
«Certo. Senza offendere nessuno, stiamo parlando di nazioni che sono storicamente e orgogliosamente estranee alla cultura democratica. Conosco molti russi che ammirano Putin, non certo per le sue virtù democratiche».
Allora diventa anche simbolico che in questa vicenda Erdogan-Unione europea ci sia all’origine un corpo, quello di Ursula von der Leyen. Che cosa le suggerisce?
«È vero, un corpo femminile messo da parte. Erdogan ha manifestamente insultato i valori fondanti della democrazia europea in due modi: umiliando il capo della Commissione Ue e umiliandola in quanto donna, laddove la parità è un altro dei valori fondanti della democrazia».
Tutto è avvenuto con l’acquiescenza del presidente Ue Charles Michel. Come giudica il suo comportamento?
«Il mio timore è che in quell’atteggiamento torni quella politica di appeasement che portò le democrazie occidentali al cedimento di fronte a nazismo e fascismo».
Cosa ne pensa della seconda affermazione di Draghi che ha fatto discutere e cioè che con le dittature si deve cooperare nell’interesse del Paese?
«Dobbiamo, ma il principale interesse nazionale di un Paese democratico è la tutela dei suoi fondamentali valori democratici. E senza alludere a nessun improbabile paragone storico vorrei ricordare la formidabile battuta di Churchill dopo Monaco. Quando il primo ministro inglese Chamberlain esibiva il foglietto degli accordi con Hitler e Mussolini come l’accordo che avrebbe garantito la pace, Churchill disse: "Potevate scegliere tra il disonore o la guerra. Avete scelto il disonore, avrete la guerra"».