Avvenire, 14 aprile 2021
La crisi dell’incenso
LA CRISI
Riccardo Maccioni per Avvenire
Tante volte la realtà è diversa da come la percepiamo. A girare per mercatini, quando l’emergenza Covid lo consente, è tutto un mescolarsi di fragranze dolciastre, di fumi sottili, di bastoncini usati per profumare gli ambienti e creare atmosfere vagamente orientali. Si accendono decine di “incensi” e certo la varietà degli aromi che solleticano le narici non fa pensare a un settore in difficoltà. La crisi invece c’è e investe la materia prima più ricercata, quella per intenderci impiegata nelle liturgie sacre. Secondo la rivista “ Nature sustainability”, infatti, della preziosa resina se ne produce sempre meno e se ne consuma sempre di più. Si calcola che tra vent’anni la sua quantità sarà ridotta del 50% e il trend, in calo, è destinato a proseguire, fino a un ipotetico azzeramento entro mezzo secolo. Oltre a incendi, pascoli selvaggi e all’azione di insetti “nemici” le cui larve si insinuano nei tronchi, la colpa va cercata nella guerra, nella violenza, che in modo più o meno cruento riguarda tutti i maggiori Paesi produttori, dalla Somalia allo Yemen, dall’Etiopia al Sudan all’India settentrionale. E conflitti vogliono dire anche campi bruciati, raccolti persi, esportazioni uffi- ciali bloccate, commercio in nero. La soluzione, ovvio, sarebbe la pace ma nel frattempo si tratta di correre ai ripari, di fronteggiare l’emergenza. Nell’immediato – ha spiegato il biologo americano Stephen Johnson al “Catholic news service” – occorre garantire una maggiore tracciabilità sulla provenienza dei prodotti e potenziare l’autogestione.
Cioè puntare su coltivazioni magari piccole, private, ma in un’area più ampia. Dove la differenziazione potrebbe essere utile per provare a garantire una maggiore eticità del sistema produttivo. Nessuno in ogni caso mette in dubbio l’importanza dell’incenso, delle oleoresine secrete dalle piante del genere Boswellia, per i riti sacri. «Anche se oggi – spiega Paolo Tomatis docente di liturgia alla Facoltà teologica di Torino – quando si utilizza l’incenso i nostri bambini si tappano il naso e gli adulti cercano di ridurre le volute di fumo, al contrario del Medio Evo dove bisognava stare attenti perché le persone si muovevano per andare a prendere, per ’afferrare’ l’incenso. E viene il dubbio che questo dipenda non solo da un cambiamento culturale a ma anche da una scarsa qua-lità, per cui se manca, se è più difficile reperire quello ’vero’ proveniente da Oriente ci si aggiusta in qualche modo.
Non tutte le essenze sono uguali insomma. Penso a quelle che si possono trovare un po’ ovunque sulle bancarelle.
Sono incensi che bruciano ma sono meno compatti, usati principalmente per creare un’atmosfera olfattiva. Ma non c’è solo il profumo. La forza dell’incenso utilizzato nei suoi “grani” non spezzettati e non mescolati è anche quella di produrre il fumo, che sale verso l’alto, metafora viva della preghiera a Dio. “Come incenso salga a Te la mia preghiera”, recita il Salmo 140.
L’incenso ha una grande valenza simbolica.
Da una parte nella sua funzione olfattiva ha il significato di creare un ambiente di preghiera che sia simbolo di ordine, di pulizia, di bellezza, da cui la connessione tra profumo e ordine morale. Dall’altra parte richiama l’onore, il rispetto verso Dio ma anche verso i ministri, verso tutti i segni della presenza di Cristo: la croce, l’altare, i ministri, il popolo stesso, i morti nel rito delle esequie. Quindi segno di preghiera, segno di ordine e pulizia, segno di sacrificio, segno di onore e di rispetto.
Quando si parla di incenso il pensiero corre al dono del Magi.
Certo, un’offerta che è segno di venerazione, di adorazione ma la Scrittura è ricca di molti altri riferimenti. Nell’Apocalisse l’incenso simboleggia l’adorazione. Addirittura nell’Esodo si spiega come dev’essere preparato.
Ci sono momenti in cui è obbligatorio l’utilizzo dell’incenso.
L’ordinamento generale del Messale Romano dice che nell’Eucaristia domenicale lo si può usare sempre ma in modo facoltativo. Cioè non è strettamente obbligatorio ma utilizzarlo nelle celebrazioni esprime una loro particolare solennità. Nei riti delle esequie o della consacrazione di una nuova chiesa si prevede invece esplicitamente l’uso dell’incenso.
Nelle esequie che significato ha?
È un segno di onore e rispetto che sale a Dio in connessione con il sacrificio della vita della persona. Ci si augura e si prega perché l’esistenza del defunto sia gradita al Signore allo stesso modo con cui l’incenso sale a Dio. «Il profumo dell’incenso è segno di quel sacrificio di lode che è la vita del giusto» spiega il rito delle esequie.
Storicamente le prime comunità cristiane guardavano con sospetto al suo uso, forse perché richiamava i riti pagani.
Non solo i riti pagani ma anche il culto dell’imperatore dove la dimensione civile assumeva anche un’impronta religiosa. Tanto più che proprio l’offerta dell’incenso poteva diventare il grande simbolo dell’apostasia, richiesta ai cristiani durante la persecuzione. Si può dire che per l’incenso si dava la vita, nella misura in cui rifiutarsi di bruciarlo davanti all’immagine di una divinità o dell’imperatore poteva portare alla condanna a morte. Quando, nel IV secolo, il cristianesimo diventa una Chiesa di massa, la religione ufficiale dell’impero, nel processo di sostituzione si registra anche un’inculturazione del segno che comincia a entrare poco per volta nella liturgia. Si discute se ciò sia avvenuto anzitutto per una funzione pratica come odorare gli ambienti o, più probabilmente, per una questione simbolica, per cui come prima avveniva per le autorità civili, ora si incensano i ministri ordinati, che hanno peraltro anche funzioni civili.
L’incenso viene utilizzato pressoché in tutte le religioni.
Certamente. Dall’Egitto pre israelitico alla religione d’Israele, a tutte le fedi del Mediterraneo e poi dell’America Latina o dell’India, è un segno che possiamo definire universale, che si accompagna a funzioni sacrificali, al grande tema del sacrificio, che rappresenta il “gesto” per eccellenza di ogni religione.
Siamo partiti dal rischio di una ridotta disponibilità della materia prima. Ma dobbiamo essere preoccupati?
Non ho competenze specifiche circa le aziende produttrici ma oggi esistono ambienti come l’Africa che riescono a ottenere incensi di qualità. E certamente in un tempo nel quale si ha la capacità di mescolare i materiali e usarne di nuovi per trasformare gli elementi, si possono immaginare strategie per trovare qualità senza ricorrere alle resine preziose dell’Oriente.
Una sfida anche culturale, mi sembra di capire.
In campo liturgico si deve tenere conto di fattori nuovi, per esempio di non avere più chiese con alte volte, per cui l’incenso rischia di “affumicare” l’ambiente. Sotto il profilo culturale invece se non si è smarrito il senso del fumo che sale verso l’alto, almeno in Occidente ci si è però allontanati dal gesto dell’incensare cose e persone, per cui a volte si preferisce far bruciare i grani in un piccolo braciere anziché utilizzare il turibolo.
«L’incenso? Da alcuni decenni si sta recuperando nelle chiese un’opportuna, in tanti casi necessaria, dimensione simbolica. E il sempre maggiore ricorso all’uso dell’incenso fa parte di questo “linguaggio”. Che è il linguaggio liturgico del gratuito». L’incenso, dunque, come esperienza della gratuità. Lo sottolinea don Loris Della Pietra, direttore dell’Ufficio liturgico diocesano. Anche nell’arcidiocesi di Udine non c’è stata liturgia della recente Settimana Santa in cui non si sia ricorsi al profumo dell’incenso. I consumi di questa essenza sono in aumento, ma non ravvisiamo ancora la necessità di acquisti condivisi, a livello diocesano – puntualizza monsignor Sergio Di Giusto, direttore dell’Ufficio amministrativo –. Gli acquisti avvengono da parte di ogni parrocchia in modo autonomo: chi lo fa nei negozi specializzati presenti anche a Udine, sempre più numerosi sono gli acquisti online con offerte tra le più diverse». La spesa media annuale? «Dai 50 ai 100 euro l’anno. Quindi non si tratta di cifre così pesanti che rendano an- cora consigliabile un acquisto cumulativo».
I COSTI
Francesco Dal Mas per Avvenire
Cinquecento grammi di “incenso di Gerusalemme” costano meno di 10 euro. Invece 40 euro un chilo di “granello Mirra”. 114 pezzi di carboncini brucia incenso possono venire a costare 11 euro. «Stiamo comunque constatando – osserva Di Giusto – che i costi sono in progressivo aumento, così come quelli degli arredi e dei paramenti sacri. Negli ultimi tempi, per altro, sono ricomparse le pianete, che costano di media più delle casule». Uno dei più frequentati negozi di articoli religiosi, a Nord Est, è quello di Ettore Pietrobon a Treviso, all’ombra della Cattedrale. «Di incenso ne consegniamo parecchio, ma non solo alle parrocchie, anche a tanti privati. Ci sono famiglie che acquistano sostanze particolari per “profumare” la casa in vista di circostanze particolari, di incontri conviviali (quando si potevano ancora fare). Da parte di diocesi o di parrocchie non ho contezza di acquisti cumulativi. Anche perché ci sarebbe poi un problema di distribuzione. Per gli olii sacri, infatti, c’è un’unica consegna dopo la consacrazione, il Giovedì Santo. Bisognerebbe, semmai, organizzarne una anche per la distribuzione dell’incenso. Don Mirco Della Torre è parroco di tre comunità nel Quartier del Piave, a Sernaglia della Battaglia, Falzè di Piave e Fontigo. «Subito dopo il Concilio Vaticano II, si è molto puntato all’essenzialità dell’azione liturgica, ne è conseguito, tra l’altro, un ridotto consumo di incenso. Ora si sta recuperando questo rito perché avvertiamo nei fedeli un sempre maggiore gradimento della simbologia, del sacro – spiega –. L’incensazione, dunque, è attesa, apprezzata. Ed è per questo motivo che nelle tre chiese parrocchiali siamo soliti integrare l’incenso base con altre essenze profumate utilizzate nei riti ortodossi» .
« Ma perché un tale gradimento? «Nella liturgia attiviamo tutti i cinque sensi – fa notare monsignor Della Pietra – compreso quello dell’olfatto che ci fa percepire il profumo dell’incenso e ci dà immediatamente l’idea della gratuità dell’azione liturgica a cui stiamo partecipando. Gratuità che significa anche apertura al mondo soprannaturale, a Dio». Incensazione, quindi, che diventa esperienza di fede e di vita. Viviamo in un clima a dir poco pesante – conclude il direttore dell’Ufficio liturgico dell’arcidiocesi di Udine –. Quest’esperienza ci eleva dal quotidiano e ci fa vivere una dimensione “altra”».