il Fatto Quotidiano, 13 aprile 2021
I dieci piccoli inediti di Simenon
Dovevano essere quasi le due: la sveglia sul camino di marmo nero era ferma. Marie Dudon aveva avuto il tempo di lavare i piatti.“Esci subito?”.
“Perché?”.
“Vorrei che badassi al bambino per cinque minuti, intanto che scendo a prendere l’acqua per il bucato…”.
Tre, quattro, cinque righe e immediatamente si è lì, al centro di quella camera da letto, il marmo che evoca il freddo anche se è il camino dovrebbe richiamare al calore; si è lì dentro la testa di Marie Dudon, davanti a lei mentre ha lavato i piatti, nei suoi occhi mentre chiede cinque minuti di tregua e solo per andare a prendere l’acqua per il bucato.
È lei a guidare la quotidianità, non il marito ancora a letto, immobile e in attesa degli eventi.
Questo è l’incipit de Lo scialle di Marie Dudon, uno dei dieci racconti inediti di Georges Simenon, raccolti dentro l’ultima pubblicazione di Adelphi; dieci assaggi della sua bravura, della sua capacità di creare immagini nitide, quadri alla Hopper, dove il colore, l’ambiente, le dimensioni diventano preminenti.
Simenon non ha la smania di impressionare, non sente la necessità di arrotondare la frase con un aggettivo in più, con un’accelerazione improvvisa o il colpo di scena necessario a stordire il lettore; lui mantiene una sua marcia costante e quasi illusoria, ha la forza di regalare gli elementi centrali già dall’incipit, di portare il lettore nel suo clima, di far sentire gli odori, vedere la nebbia, sentire il freddo, di giocare sulla sottrazione come tante cartoline di un’esistenza densa di umanità.
E così, in questi dieci racconti, c’è una sorta di piccola summa della sua arte, anche se non tutti perfettamente riusciti, non tutti completi: alcuni sembrano degli abbozzi, dei piccoli tentativi artistici per studiare i suoi personaggi, per capire come affrontare una scena o se il soggetto può mantenere una forza successiva. Ed ecco il nobiluomo (nella pagina accanto l’inizio del racconto) con il monocolo perennemente sull’occhio, una sorta di Vittorio De Sica ne Il conte Max; o La vecchia coppia di Cherbourg, questi due anziani tragici con i prosciutti appesi in camera che sarebbero stati perfetti per qualunque film neorealista degli anni Cinquanta. E ancora il signor Saft e la sua ricerca di un medico in grado di non condannarlo a morte.
Perle, quindi, e alla fine del libro è chiaro come perfino nei lavori non completamente compiuti la magia di Goerges Simenon resta intatta e superiore alla maggior parte degli scrittori.
Sosteneva Dario Fo (citazione che rubava a Molière, e Molière a chissà chi): “Rubare è da geni, copiare è da coglioni”. Simenon rubava alla vita, mentre tanti altri scrittori tentano di copiare il genio belga.