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 2021  aprile 13 Martedì calendario

Ancora sulla Rai e sull’archivio di Minoli

La surreale faida tra Gianni Minoli e la Rai è una delle più alte forme di intrattenimento concesse dal servizio pubblico negli ultimi anni. Il giornalista e Viale Mazzini hanno ingaggiato uno stranissimo conflitto: Minoli dichiara in molteplici interviste (nell’ultima settimana su Repubblica e Corriere) di ambire a una poltrona nel consiglio d’amministrazione dell’azienda. E come sottile arma di persuasione cita un vecchio, incredibile contenzioso: sostiene di essere titolare dei diritti di archivio del programma che ha condotto dal 2002 al 2013, La Storia siamo noi.
A Minoli in pratica è stato regalato un tesoro: tra le immagini di archivio ci sono alcuni filmati originali ed esclusivi della storia italiana (come la terribile battuta di Andreotti su Ambrosoli, “se l’andava cercando”, la testimonianza dell’autista di Berlinguer sull’attentato in Bulgaria) con un valore commerciale altissimo, tra gli 800 e i 1.000 euro al minuto, per una cifra totale che si avvicinerebbe a 180 milioni.
Minoli brandisce questo patrimonio per accreditare l’incapacità dall’attuale dirigenza di Viale Mazzini (alla quale si vorrebbe in qualche modo sostituire) e per minacciare di vendere il video-malloppo a qualche privato (Netflix o qualche altro grande broadcaster – secondo lo stesso Minoli – potrebbero farci un pensiero: “Me lo chiedono tutti tranne la Rai”).
Siamo all’assurdità del servizio pubblico che si deve ricomprare i diritti di una propria trasmissione da un suo ex giornalista, a prezzi mostruosi. Ma ancora più clamorosa è la genesi di questa situazione: La Storia siamo noi nasce nel 1997 da un’idea di Renato Parascandolo, direttore di Rai Educational. Minoli viene coinvolto successivamente, la creatura non sarebbe nemmeno sua. Perché allora può vantare i diritti sull’archivio? Per un accordo che verrebbe da dire privato – se non fosse che stiamo parlando di servizio pubblico e di altrettante pubbliche risorse – tra Minoli e l’ex direttore generale della Rai, Mauro Masi. Siamo nel 2010 e Minoli viene coinvolto nelle programmazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Il giornalista sta per andare in pensione e questo ultimo contratto viene stipulato a una cifra più contenuta e conveniente per l’azienda. Il regalo dei diritti sull’archivio è quindi una specie di compensazione per lo stipendio “tagliato” di Minoli; una sorta di scivolo, un incentivo alla “cessazione anticipata del contratto” (come spiega, con malcelato fastidio e una certa incredulità, una fonte di Viale Mazzini). Un meraviglioso regalino di pensionamento.
Dalla Rai fanno sapere che, in ogni caso, i diritti di Minoli riguardano solo il periodo 2010-2013. Il giornalista sembrerebbe accontentarsi, bonta suà (anche se “è un problema che riguarda i legali”), ma fa notare che si tratta comunque di 576 ore (con un valore tra i 27 e i 35 milioni di euro).
Minoli ci tiene molto a vendere alla Rai invece che ai privati. “Perché non regala l’archivio?”, gli chiede il giornalista del Corsera. Risposta: “Regalarlo forse no, ma potrei trattarlo con molta moderazione rispetto al prezzo di mercato” (bisogna sottolineare la terminologia felpata della trattativa lanciata in pubblico: “Molta moderazione”, che eleganza e modestia). E la Rai che fa, concilia? Sempre da Viale Mazzini – e sempre con un certo fastidio – filtra un’indiscrezione: si sta ipotizzando, “per trovare una quadra”, un’eventuale collaborazione per un “prodotto editoriale” con Minoli. Insomma, in un modo o nell’altro il giornalista con l’archivio rimetterà piede nell’amata azienda di Stato. Sullo schermo o in cda.