La Gazzetta dello Sport, 13 aprile 2021
I 70 anni di Ivano Bordon. Intervista
Vincere un Mondiale è difficile, vincerne due è quasi impossibile. Per tutti, non per Ivano Bordon che oggi festeggia 70 anni azzurri e nerazzurri tuffandosi tra passato, presente e futuro.
La sua Inter le ha già regalato lo scudetto in anticipo: se l’aspettava?
«Ci speravo dopo il successo sulla Juve, ma la svolta decisiva è stata la vittoria nel derby».
Come 50 anni fa quando lei vinse il primo scudetto dopo un sorpasso sul Milan…
«Debuttai a 19 anni in A in un derby, sostituendo Lido Vieri che per me è stato un maestro. Giocai soltanto nove partite, ma ero in campo a Catania nel giorno in cui superammo il Milan».
Ricorda più volentieri quello scudetto o il secondo?
«Il primo è stato bellissimo, perché incominciai la carriera nel modo migliore. Nel 1980 l’ho vissuto di più, perché ero titolare in una squadra tutta italiana in cui 7-8 di noi provenivano dal settore giovanile».
Ha giocato anche con Mauro Bellugi, suo grande amico scomparso da poco...
«L’ho conosciuto nel pensionato dei ragazzi dell’Inter. Poi, per un anno, abbiamo vissuto nella stessa casa a Trezzano sul Naviglio, ma non mi faccia dire di più perché mi vengono i brividi ricordando lui e Maurizio Galli, altro amico vittima del Covid».
Bellugi è arrivato quarto al Mondiale 1978, lei invece come riserva di Zoff ha vinto nel 1982, poi come preparatore di Buffon ha vinto quello del 2006: che effetto le fa essere l’unico bi-campione del mondo?
«Penso di essere fortunato e portafortuna, perché di titoli mondiali ne ho tre. Nel 1973, infatti, ho vinto il Mondiale Militare in Congo in una squadra in cui c’erano il mio amico Oriali, Furino, Graziani, Zecchini, Speggiorin, Bittolo, Ammoniaci, tutti arrivati in Serie A».
Torniamo ai due Mondiali più importanti: quale le è rimasto più nel cuore?
«Il primo è stato un’emozione indimenticabile. Il secondo è stato il doppio, perché a Berlino mi sembrava di averne vinti due in una volta sola».
Nel suo bel libro “In presa alta” racconta che Berlino era nel suo destino...
«Sì, perché nel 1971 la ripetizione della famosa partita della lattina contro il Borussia Moenchengladbach si giocò a Berlino e io alla vigilia mandai una cartolina ai miei genitori scrivendo che avremmo pareggiato 0-0. Parai un rigore e finì proprio 0-0, così da quel giorno mi chiamarono tutti “pallottola”, come mi aveva già soprannominato Mazzola. Guarda caso sono tornato a Berlino e ho festeggiato il Mondiale, esultando a ogni parata di Buffon. Peccato solo che non trovi più quella cartolina».
Differenze Bearzot-Lippi?
«Tutti e due grandissimi e molto simili, perché si sono trasformati in parafulmine per proteggere i giocatori. A Bearzot devo tanto perché mi ha fatto esordire in Nazionale, anche se poi venni a sapere dalla radio che non avrei partecipato al Mondiale 1986. Qualche anno dopo, alla partita d’addio di Cabrini, mi disse: “Voglio chiederti scusa, spero tu non sia arrabbiato”. Questo era Bearzot, un uomo vero come Lippi, a cui devo la fortuna di avere vinto tanto nella Juve e in Nazionale».
Ma come, lei interista dice che ha avuto la fortuna di vincere nella Juve?
«Sono interista e non avrei mai lasciato l’Inter, ma quando ho smesso di giocare sono stato 4 anni alla Solbiatese con Oriali come d.s. e uno all’Udinese con Vicini. Ricevetti la proposta di Lippi, che avevo conosciuto bene quando giocavo alla Sampdoria mentre lui allenava la Primavera. Ragiono da professionista e come tale ho festeggiato 5 scudetti con la Juventus, la Champions nel ’96 e un altro Mondiale, l’Intercontinentale vinto a Tokyo».
Che ricorda di Zoff e Buffon?
«Zoff è stato il migliore nella sua epoca, Buffon il migliore nella sua. L’ho allenato, non mi meraviglio che giochi ancora e fa bene ad andare avanti».
Cosa pensa di Handanovic?
«Anche lui può andare avanti molti anni. Ha grandi qualità e fisico. Mi ha appena agganciato per numero di presenze all’Inter, ma gli auguro di battere il mio record di imbattibilità di 686’ che dura dal 1980».
Donnarumma le piace?
«È già il migliore di tutti, degno erede di Zoff e Buffon».
Quando allenava Buffon alla Juve, c’era anche Conte: immaginava che sarebbe diventato così bravo come allenatore?
«Sì, perché ricordo la sua grinta. Una volta sul lettino dei massaggi disse: “Non guardiamo gli altri, pensiamo soltanto a vincere noi”. E oggi, come era successo a me alla Juve, ragiona da professionista, con la testa soltanto all’Inter. Mi ricorda Bersellini, perché anche lui è un martello. Ha costruito un’Inter solida, valorizzando giovani come Bastoni e Barella. A parte Lukaku e Lautaro, mi piace molto Hakimi».
Che cosa serve per vincere anche in Europa?
«L’Inter può aprire un ciclo, ma servono tre innesti di qualità. Penso soprattutto a un’alternativa a Lukaku, il sogno sarebbe... Mbappé».
Per concludere, che messaggi si aspetta sulla chat dei campioni 1982 per i 70 anni?
«Come al solito mi prenderà affettuosamente in giro Altobelli. Purtroppo stavolta mi mancherà il messaggio di Pablito, anche se lui è sempre con noi».