la Repubblica, 13 aprile 2021
L’uomo che diventò amico di un polpo
«Voglio dirlo: il mio amico polpo mi ha insegnato a vivere». Craig Foster, roccioso sudafricano che aveva perso il senso della propria esistenza, lo ha ritrovato sul fondo marino grazie all’incontro con un cefalopode che si è rivelato maestro di vita. La storia incredibile e commovente è al centro del documentario Il mio amico in fondo al mare di Pippa Ehrlich e James Reed, su Netflix. Fresco vincitore dell’inglese Bafta e in corsa agli Oscar, il film ha fatto breccia anche nel cinismo dei social: in tanti rivelano di aver pianto di fronte all’amicizia purissima tra il filmmaker in crisi e il comune polpo femmina che nell’anno trascorso insieme – come suggerisce il titolo originale, My Octopus Teacher — gli ha allargato lo sguardo e aperto la porta a un nuovo rapporto con la natura grazie alla sua forza, all’amore per la vita e alla capacità di sacrificio. Così come il film – e la nostra amica in fondo al mare – sono stati capaci di farlo con noi: sarà cambiato il nostro sguardo sulla natura quando potremo immergerci in quel mondo che ci è stato negato dalla pandemia.
La storia inizia nel 2010. Dopo un momento di crisi personale che lo isola anche dalla moglie e dal figlio, Foster torna nella casa dell’infanzia a Cape Town, Sudafrica, immergendosi come faceva da ragazzo nella False Bay, la meravigliosa foresta di kelp, le alghe giganti e colorate, grande bacino di biodiversità in quello scorcio di Oceano Atlantico. Si immerge nell’acqua, 7 gradi, senza muta. Si imbatte nel polpo femmina e affascinato dalla sua vivacità e intelligenza si immerge tutti i giorni per un anno, che corrisponde più o meno all’arco della vita dell’animale. La osserva, la filma, dopo qualche passo falso – il polpo si spaventa, abbandona la tana ma lui la ritrova – nasce un rapporto di fiducia. Dapprima lei si avvolge in un’alga per mimetizzarsi e lo sbircia di nascosto, poi inizia a fidarsi e lo rende partecipe della sua quotidianità. La vediamo ingegnarsi in mille tecniche per catturare le aragoste, salvarsi dall’attacco di uno squalo aggrappandosi alla sua schiena, giocare lanciando i tentacoli attraverso un branco di pesci. Quando un predatore le tronca un tentacolo sembra vicina alla fine, eppure sopravvive e in tre mesi il tentacolo ricresce. Fino al momento dell’accoppiamento, quando accudisce la schiusa delle migliaia di uova: solo una manciata di piccoli sopravviveranno.
Una liturgia di immersioni ed emersioni, anche interiori, ma anche, per Foster, un incontro ravvicinato del terzo tipo: «Per molte persone un polpo è come un alieno. Man mano che ti avvicini ti rendi conto che sei molto simile a questa creatura straordinaria». Sottolineano James Reed, che abbiamo intervistato via zoom dall’Uganda con la co-regista Pippa Ehrlich in collegamento da Cape Town: «Ciò che rende eccezionale questo animale è lo sguardo che abbiamo posato su di lui. Chissà quanti altri polpi sanno cavalcare uno squalo, chissà quante altre creature potrebbero stupirci: questa è la natura, in un modo in cui non l’abbiamo vista prima».
Grazie a questa esperienza Foster ha riscoperto il rapporto con il figlio Tom e fondato l’organizzazione no profit Sea Change Project. Tom lavora anche come musicista di percussioni che si ispirano ai suoni marini e affianca Yo-Yo Ma, il violoncellista sostenitore della Ong, in concerti nel mondo. «La reazione a questo film è stata incredibile – racconta Ehrlich – il sito di Sea Change è stato travolto da migliaia di mail. Un pubblico trasversale anche di non appassionati naturalisti che si è sentito connesso a Craig, psicologi che mostrano il film ai pazienti per il modo in cui affronta il tema dei disturbi psicologici. Giovani biologi che stavano per mollare gli studi hanno ritrovato motivazione, il governo del Sudafrica c i ha scritto di quanto il Paese sia orgoglioso di noi». Per la cineasta è rilevante che il polpo fosse femmina, «è stato sorprendente vedere quest’uomo abbandonarsi e imparare tutto ciò che poteva da una figura femminile coraggiosa, intelligente, saggia. In questo senso il film è una meravigliosa storia femminista e al contempo una felice espressione di vulnerabilità maschile».