La Stampa, 12 aprile 2021
1943, "Affondate la Santamarina!"
La mattina del 9 maggio ’43 a Lipari c’era già il precoce sole caldo estivo delle Eolie. La fine del fascismo, ormai prossima, non aveva impedito che sul corso del paese si svolgesse la sfilata della «Festa dell’Impero», con i cadetti in divisa di alta ordinanza. Il piccolo piroscafo Santamarina, grande più o meno come certi yacht che adesso si vedono d’estate, aveva atteso placido, dondolando all’ancora davanti all’insenatura di Marina piccola, il completamento delle operazioni d’imbarco dei passeggeri, allora complicate dall’impossibilità di attraccare a riva e dalla necessità di portare a bordo le persone con il «rollo», una grande lancia a remi. Dei duecento e più uomini e donne diretti a Milazzo, il porto di riferimento sulla terraferma siciliana, nessuno poteva immaginare il proprio tragico destino. Neppure quelli in attesa sul ponte più alto, dove due marò in uniforme, coordinati a distanza, con il solo sguardo, dal capocannoniere Giuseppe Porretto, scoprivano l’otturatore del cannoncino installato sul castelletto di prua, e controllavano le «riservette», due mitragliatrici avvitate sui lati.
Ricostruito scientificamente dallo storico liparese Giuseppe La Greca, sulla base di documenti inediti, e per la prima volta dei giornali di bordo della Marina inglese e di testimonianze dirette dei sopravvissuti, cominciava così l’ultimo viaggio del Santamarina, silurato e affondato poco dopo la partenza al largo di Vulcano dal sottomarino Unrivalled, vale a dire «Senza rivali», nome quanto mai corrispondente alle intenzioni del suo comandante, Hugh Bentley Turner. Come altri ufficiali di stanza a Malta, Turner, rinomato per la sua spietatezza e per la destrezza marinara con cui conduceva un equipaggio di 49 persone, in vista dell’operazione «Husky», lo sbarco delle Forze Alleate il 10 luglio in Sicilia, era stato comandato di un duro lavoro di pattugliamento tra lo Stretto di Messina e le Eolie. Si trattava di «ripulire» il pezzo di mare su cui presto sarebbero giunti i mezzi da sbarco inglesi e americani, con l’ordine di non andare per il sottile, cioè di non mirare solo su navi da guerra, ma affondare anche mercantili e imbarcazioni che dovevano garantire approvvigionamenti a terra.
Con forte senso di previdenza, dal marzo ‘41, erano stati affondati il sommergibile Capponi, la caccia sommergibili Albatros, il sommergibile oceanico Ammiraglio Saint Bon, ma anche il piroscafo Giovanni dalle Bande nere, la nave cisterna Rosario, la nave Sidano, colpita in un’incursione nel porto di Milazzo, il piroscafo Galiola, il veliero Albina, inseguito due volte, fino al raggiungimento dell’obiettivo. Mai, prima di quel tragico 9 maggio, gli inglesi si erano spinti a mirare su una nave passeggeri, sapendo di provocare una strage in cui alla fine si contarono oltre sessanta vittime.
Varato nel ‘28 a Palermo, il Santamarina, una navetta lussuosa con 50 posti letto di prima classe, era stato presto adibito al servizio tra Milazzo e le Eolie. Su questa rotta, nel ‘34, aveva riportato indietro dal confino Curzio Malaparte. E in nome di chissà quale geniale trovata dello Stato maggiore del Fascio, era stata dotata di quel cannone e delle «riservette» che segnarono la sua fine. Va detto che anche in tempi di democrazia, nel più recente 1991, all’epoca della prima Guerra del Golfo di cui ricorre il trentesimo anniversario, il ministro dc della Marina mercantile, Vito Lattanzio, se n’era uscito con la proposta di armare i transatlantici da crociera destinati a navigare in acque a rischio. Per sua fortuna era stato fermato.
Invece fu proprio l’armamento a prua a far considerare a Turner, che evidentemente disponeva di informazioni spionistiche dal suolo siciliano, il Santamarina un mezzo da guerra «mimetizzato» da crociera. Prima di sparare, si legge nel giornale di bordo scritto con assoluta freddezza dal comandante, «si tentò di fare una fotografia col periscopio, ma l’onda avrebbe potuto rovinarla». Subito dopo, Turner passò all’azione. Affiancò il piroscafo, che avanzava con difficoltà, trattenuto dal classico vento di Ponente che soffia sulle Eolie, ma decise di aspettare a lanciare «i siluri, in quanto sembrava improbabile che essi andassero diritti a 6 o 8 piedi a causa della corrente e dell’onda lunga». Si avvicinò ancora, controllando la distanza «a orecchio con il fonometro». Alle 15,40, quando fu a tiro, ordinò di sparare tre siluri, incitando i suoi uomini: «Sank!», affondatela. Poté segnare sul giornale di bordo che due dei tre erano andati a segno, ottenendo l’effetto voluto.
Qui il drammatico racconto dello storico La Greca allinea le testimonianze dei sopravvissuti, tutti salvati dalla prontezza con cui si gettarono in acqua, prima di vedere la nave «colare a picco, spezzata in due tronconi, con l’elica in movimento verso il cielo». Antonino Scarnato, addetto alla corrispondenza, stava ancora timbrando le buste quando sentì il botto. Corse in cucina a cercare lo zio cuoco, Giuseppe Sacchettino, ma lo trovò morto «in una pozza di sangue». Prima di gettarsi, arrivò a «vedere la torretta del sommergibile», poi in acqua il marinaio Nino Foti e il macchinista Angelo Natoli lo trascinarono su una zattera. Ovunque, a mare sono «grida e lamenti». C’è appena il tempo di sentire in bocca «pulviscolo di carbone» e vedere in lontananza avvicinarsi i mezzi di soccorso, subito entrati nel mirino di Turner e di un quarto siluro, che per fortuna andrà a esplodere sulla vicina costa di Vulcano.
Portati a terra, i sopravvissuti descrivono uno scenario infernale: «Il ponte scoppiò tutt’insieme», racconterà il marò Giuseppe Formica, uno degli addetti al cannone, che vide morire sotto i suoi occhi il radiotelegrafista Paolo Cuzzocrea. «In mare molta gente inesperta di nuoto chiedeva aiuto», dirà il capo fuochista Angelo Natoli. Assunta Poma, brava nuotatrice, cercò invano di convincere una donna incinta, avvinghiata alle sue bambine, a gettarsi. Poi si tuffò, «a pesce», sentendo l’altra che invocava «San Bartolu miu». In acqua, grazie alle sue capacità, si mise in collo una dopo l’altra una decina di persone che senza il suo aiuto sarebbero annegate. Salì tra le ultime su una zattera. Un’eroina. Da allora, ancora aspetta una medaglia. ì