La Stampa, 12 aprile 2021
Intervista a Stefano Bollani
È uno che suona «da Bio». Nel mezzo dell’incerta stagione dell’ascolto liquido, tempo in cui gli algoritmi compongono canzoni e alla radio il dj non è più il disco che mette, Stefano Bollani con l’anima gemella Valentina Cenni regala alla serata di Rai3 un programma di artigianato sonoro, un piano e una bella voce d’intrattenimento, con ospiti di arte varia e popolarità differenziata. Accordi e ricordi alimentano Via dei Matti numero 0, 35 puntate da 25 minuti impregnate di leggera follia. «Cosmica», suggerisce il Maestro. Ovvero «l’opportunità di rivolgersi a tutti, parlando di qualsiasi musica con artisti di ogni sorta, dalla pianista classica al rapper». Facile? «Certo». Perché, spiega lui, «la musica è metafora, ma anche linguaggio, accompagna il ritmo, è suono, è fatta della nostra stessa materia, di vibrazioni, pertanto ci rimanda al passato, attraverso il tempo e lo spazio». «Cosmica». Come volevasi dimostrare.
«Era il mio momento Osho», scherza a questo punto Bollani. Sul piccolo schermo ha ricostruito con la moglie il salotto di casa, per essere più comodi e accoglienti, barboncino Jobim compreso. Sono la nuova coppia più bella del mondo, probabilmente dispiaciuti per gli altri che sono tristi. Si sono conosciuti in aeroporto a Fiumicino, presentati da Marisa Laurito, e non si sono più lasciati. Si esprimono con armonia suprema. Stefano suona e cuce emozioni «ancestrali». Valentina suggerisce argomenti e non solo. Ha anche curato la copertina dell’ultimo album del pianista, El Chakracanta, delizia dalle molte anime, in prevalenza latine, "fatta a mano". Come gli attimi televisivi in cui stimola la gioia della musica e della composizione svelandone le trame, sereno coi Quadri di un’esposizione e con l’arte di Carosone. Tutto servito senza alcun colorante o conservante. Roba «Bio», proprio.
Era quello che avevate in mente, maestro Bollani?
«Sì, anche perché credo che siano in tanti ad apprezzare la musica "Bio", quella fatta con gli strumenti musicali tradizionali, che scaturisce da più persone che suonano insieme. Ciò non toglie che sia anche logico che nella nostra era ci siano gli ultra-appassionati digitali che fanno musica col computer. Le modalità sono importanti, poi devi ascoltare i risultati. Che possono essere ottimi in ogni circostanza».
Testiamo la premessa. I Maneskin sono «Bio» o no?
«A Sanremo mi sono piaciuti. Hanno energia. Sono "Bio"».
Punto e palla al centro. «Via dei Matti» è una delle rare magie nell’anno del Covid. Lo avreste fatto senza pandemia?
«No, non sarebbe successo. Valentina sarebbe stata da qualche parte in teatro e io altrove a suonare. Via dei Matti è un fiore sbocciato in questa situazione e credo non sarà il solo. Ogni conflitto è seguito da un fiorire di arti. Mi aspetto molti sviluppi interessanti nei prossimi anni».
Le nostre sensazioni rimescolate diventeranno arte?
«Non domani o dopodomani, ma mi attendo che la pandemia si riveli una spinta evolutiva che farà compiere un salto in avanti. Ha colpito senza badare a dove si è nati, chi siamo o di che condizione sociale. L’effetto è stato di vedere tutti concentrati nel risolvere il problema comune. Scienziati, politici e artisti devono dare il loro meglio. Noi non possiamo suonare dal vivo: possiamo però comporre, scrivere e immaginare».
Crede a chi prevede un quotidiano differente per il dopo Covid?
«La vita va avanti, nel bene e nel male. Ci lasceremo alcune abitudini alle spalle perché il cambiamento è epocale. Per capire se sarà meglio o peggio, ci vorrà tempo. Il dramma ha fatto riflettere. La pandemia mi ha costretto a star fermo e, per la prima volta da che avevo 15 anni, mi sono reso conto che posso riuscirci. Se fossimo in un film - e io credo che la vita sia costruita come un film - dovremmo mettere qualcosa di nuovo nella sceneggiatura. Ognuno deve impegnarsi perché l’evoluzione personale sia "in meglio": tutto deve avere un senso».
Lei improvvisa spesso. Poi l’improvvisazione diventa composizione. Come?
«Quando mi siedo al pianoforte per comporre, improvviso sinché non trovo una cosa che mi piace talmente tanto da aver voglia di risentirla in eterno. Allora la fermo su carta. Decido il titolo, fisso la struttura, penso con chi la suonerò, da solo, con un gruppo, con l’orchestra. Non credo sia un metodo originale, nella musica classica ci sono gli Improvvisi in Chopin, Schubert e Poulenc. Sono composizioni nate da un moto spontaneo: mi piace molto improvvisare sul palco».
Frank Zappa, al quale ha dedicato un disco, ne ha pubblicato uno in cui si chiedeva se «l’umorismo appartiene alla musica?». Lei che dice?
«Certo che sì, era una domanda retorica. La intendeva come provocatoria nei confronti di chi pensa che musica e umorismo siano categorie separate».
Invece?
«La musica e l’umorismo vanno a braccetto tranquilli perché l’umorismo va a braccetto con la vita. Non è necessario che nella musica ci sia sempre da ridere, però è assolutamente consentito».
Non ha l’impressione che la musica, soprattutto la classica, si prenda troppo sul serio?
«Questo riguarda l’aspetto esteriore, il modo in cui viene confezionata. La musica classica nasce in tempi che hanno un aspetto molto serio, dunque presuppone un codice di comportamento antico che a noi appare appunto serio, oggi. All’epoca, era la normalità l’essere vestiti bene per andare a teatro. In realtà, in una sinfonia di Mahler trovi Fra’ Martino Campanaro in minore, una cosa molto divertente di cui magari molti non si accorgono perché veste un abito che a noi pare serio».
La musica è politica?
«Può accompagnare la politica, ma è difficile trovare un brano musicale senza testo che abbia una valenza politica evidente. "Cosmica", sì, quella ce l’ha. Può avere un intento sociale. Può comunicare un senso di "Sturm und drang", di tumulto, ma non di guerra. Conflitto e politica richiedono due partiti. La musica, quando la suoni, va nella direzione della bellezza. Non è contro o con qualcuno».
Può essere provocazione?
«Quello sì. Sin dove si vuole. È parte dei suoni. Può provocare, ma senza offendere».
Uno che provoca è Robert Fripp, chitarrista eresiarca dei King Crimson. Lei ha riproposto la sua «Frame by frame». Come mai?
«Mi sono innamorato dei tre dischi pubblicati a inizio anni Ottanta dai King Crimson, ero ragazzino, sono rimasti nel cuore. Vent’anni fa un’etichetta mi ha chiesto di partecipare a un omaggio ai Crimson. Ho scelto quel brano e ogni tanto lo suono anche in concerto».
Cos’avevano di speciale i King Crimson?
«La costruzione e la logica ferree, il che è proprio di Fripp. Poi c’è un’energia pazzesca. Sono due cose difficili da ottenere, insieme. Li ho visti dal vivo e li ho trovati fantastici. Come Zappa che aveva un gruppo capace di suonare cose difficilissime, ma con energia, come se lo stessero facendo lì per lì».
Il ferreo Fripp ora fa avanspettacolo online ogni domenica con la moglie Toyah. Un’altra coppia delle meraviglie. Li ha visti, i video?
«Uno solo. L’ho trovato simpatico, è un suo lato che non conoscevo. Mi è piaciuto. Mi paiono felici e divertiti».
Qual è il primo album che ha comprato?
«Una cassetta coi successi di Nilla Pizzi. Avevo 8 anni. Ero un po’ retrò come bambino».
Chi è il suo eroe musicale?
«Renato Carosone. Sin da piccolo volevo essere come lui. Suonava il piano, cantava e faceva divertire la gente».
Lo ha conosciuto?
«No, sono stato timido, non sono andato a cercarlo. Però gli scrissi e lui mi rispose, consigliandomi di studiare il Blues che è alla base di tutto. Sono uscito di casa e ho preso tutti i dischi di blues e jazz che potevo. A undici anni ho scoperto un mondo che forse avrei incontrato solo più tardi».
Beatles o Rolling Stones?
«Facilissimo. Beatles».
Satie o Cage?
«Satie!»
Chopin o Listz?
«Che cattiveria! Non rispondo».
Maneskin o Berti?
«Orietta, con tutto l’affetto per i Maneskin».
Tempi pari o tempi dispari?
«Tutti e due. Non ho una preferenza».
Suona mai «Per Elisa»?
«Per intero, no. Lo ammetto».
È davvero il brano da suonare per imparare il piano?
«Non esiste un brano che tutti debbano suonare per imparare».
Qual è il piano che sogna di risuonare? E dov’è?
«Non lo so. Sono più legato alla musica che agli strumenti. Mi piacciono anche pianoforti molto diversi, sono differenti modi di dialogo, di collaborazione (ride)».
Cosa canta sotto la doccia?
«La Mattinata di Leoncavallo, soprattutto in alcune docce».
Ha una doccia preferita?
«Questo sì. Nella casa di Roma, è molto buona. Ha un’ottima sonorità. Canto volentieri "l’aurora di bianco vestita"».
Che musica vorrebbe al suo funerale?
«When The Saints Go Marching In. Il più tardi possibile!».
Farebbe una cover del Quartetto Cetra?
«C’è un gruppo di Genova che le fa, si chiamano Oblivion. E le farei anch’io, sì. "Il prode Radames"! Prima o poi, succede. Me la segno».
Per chiudere. Come sono i vostri matti, quelli con cui coabitate al numero zero?
«I matti che ci piacciono sono quelli che vedono la vita in un altro modo. Li chiamano "matti" e questo restano se gli va male. Ma se va bene diventano eretici e se va benissimo diventano santi, come San Francesco, un "matto" che aveva una visione importante».