Minoli ora a che punto siamo?
«Che i diritti valgano per quel periodo a me va bene, anche se dal punto di vista giuridico potrebbero riguardare tutta l’opera. Ma questo è un problema che riguarda i legali».
Quanto valgono i diritti?
«Il valore commerciale è di 800, 1.000 euro al minuto: sono 576 ore. Per non parlare delle 2.000 ore di Dixit ».
La Rai come si è mossa?
«Non mi hanno mai fatto una proposta concreta, ma sempre e soltanto discorsi fumosi per prendere tempo. Né io ho mai fatto una richiesta».
Aprirà una trattativa con altre piattaforme?
«Vorrei che l’archivio restasse in Rai ma ci deve essere la volontà di tutte e due le parti. Ci sono tante piattaforme affamate di prodotto, dal punto di vista economico mi converrebbe. Ma sono da sempre un uomo della Rai, aspetto di trovare un accordo. Bisogna che i vertici facciano proposte concrete, per ora mi hanno preso in giro. Dopo che ha chiesto chiarimenti la presidente del Senato Casellati, prima c’erano stati il ministro Franceschini, Meloni e Di Maio, in Rai si sono mossi perché questo patrimonio non vada perso o disperso. Hanno detto: “Trattiamo”.
Ma nei cinque o sei incontri mi hanno preso in giro, dicendo cose sempre più improbabili. In questi casi si discute e ci si mette d’accordo».
Perché non è successo?
«Perché non viene esercitato il potere da chi ce l’ha. L’ad della Rai Fabrizio Salini non lo esercita, tende a tirarla per le lunghe perché il caso arrivi al prossimo consiglio di amministrazione. In un anno ci siamo visti sei volte, c’era sempre un dettaglio che non andava, ma non ha mai affrontato davvero il problema.
L’ultima volta, in collegamento via Skype, ha mandato altri, neanche c’era».
Quindi?
«Le piattaforme hanno bisogno di prodotto. De La Storia siamo noi ho fatto la versione radiofonica e podcast, ho già elaborato anche il prodotto successivo. Il cda della Rai è in scadenza, vediamo se si svegliano o se ne parlerà con chi arriva».
Cosa la amareggia?
«Da un anno discutiamo sul niente. Ho fatto mia la massima di Mario Schimberni: “Tutto arriva a chi sa aspettare”. Esercito l’arte della pazienza verso chi non capisce invece di vendere l’archivio sul mercato».
C’è un enorme interesse per la Storia.
«C’è un mercato pazzesco, nel recovery plan c’è un’indicazione sui programmi dedicati alla Storia: vogliamo raccontare ai figli e ai nipoti chi siamo? Tutti gli anniversari, le storie dei personaggi sono costruiti come gialli. Sono programmi di enorme successo».
Perché punta il dito contro l’ad Salini?
«Perché la legge Renzi ha detto una cosa chiara: se hai in testa un progetto lo puoi realizzare. L’ad ha una libertà enorme che prima non aveva. Dopo tre anni cosa ha fatto?
Non saprei. Il piano industriale? Boh; il piano editoriale? Boh. Carrettate di nomine abbastanza senza senso.
RaiPlay si capisce poco cosa sia, e comunque l’aveva creata l’ex direttore generale della Rai Antonio Campo Dall’Orto. Se RaiPlay, come dovrebbe essere, è la vendita della cineteca, capisco che vengano rinnovati i prodotti, un po’ come fece Marchionne con la 500. Prese un prodotto di 50 anni e gli diede nuova vita con un’operazione che ha fatto di Fiat una monomarca. Qui si può fare lo stesso, abbiamo in casa i format».
Oggi come si rinnova la tv?
«Fare programmi non è facile, pensano che basti mettere qualcuno in studio ed è fatta. Non è così. Ma è anche colpa dei giornalisti, che con la crisi della carta stampata si sono buttati sulla tv e l’hanno trasformata in radio: parlano e basta. La televisione prima di tutto è fatta di immagini».
La Rai è ancora in mano ai partiti?
«La Rai è la fotografia del Paese: se la politica è zero, la Rai è zero. Se la politica è forte, la Rai è forte. Una volta i partiti mandavano i migliori».