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 2021  aprile 12 Lunedì calendario

Tutte le donne di Hitchcock

Tutte le donne di Alfred Hitchcock. E la prima – e unica – moglie, che non fu come pretendeva il titolo italiano Rebecca (1940), bensì Alma. Un’unione sancita da un rigetto, a ribadire la fervida immaginazione – e un certo egocentrismo… – di Hitch: “La dichiarazione d’amore avvenne su un piroscafo, con lei che soffriva di mal di mare: lui le propose di sposarlo, lei ebbe un piccolo rigurgito, lui lo prese per un sì”. E ne ebbe plurimi benefici: “Quando, nel 1979, gli fu conferito il prestigioso Lifetime Achievement Award, lui volle ricordare e ringraziare quattro persone: ‘La prima’, disse, ‘è un montatore, la seconda uno sceneggiatore, la terza la madre di mia figlia Pat e la quarta la miglior cuoca che si possa immaginare. Il loro nome è Alma Reville’”.Quattro donne in una, e altre ancora disseminate nei film: morto quarantuno anni fa, il 29 aprile del 1980, Hitch ce le ha lasciate in dote, consacrandole nell’immaginario collettivo. Non sempre, rileva il giornalista Rosario Tronnolone nel sapiente Alfred Hitchcock. Ritratti di signore (Edizioni Sabinae), il lascito è stato filologicamente inteso: “Uno degli errori che più comunemente si commettono nella lettura del suo cinema è quello di considerare la bionda unicamente come fredda e desiderabile, quando invece il personaggio femminile viene utilizzato non come oggetto del desiderio, ma come soggetto di identificazione”. La dinamica è interessante, l’amore non corrisposto cui sovente le destina ha probabilmente “a che fare con un’esperienza personale e autobiografica”, e in questo retaggio risiederebbe la sopraffina, ironicissima vendetta che consuma sullo schermo: “Affidare il personaggio di un essere rifiutato, o che comunque ha difficoltà a conquistare l’oggetto del proprio amore, ad alcune tra le donne più desiderabili del mondo, che si tratti di Ingrid Bergman, o di Grace Kelly, o di Kim Novak, o di Tippi Hedren, le attrici che interpretarono i personaggi più vicini al suo romantico ideale”.
Prima inter pares, e qualcosa di più, fu Bergman, che incontra nel 1944 per lo psicanalitico Io ti salverò. L’intesa è da subito completa: “Condividevano la cura minuziosa dei dettagli, l’amore sviscerato per il loro lavoro, un comune senso dell’humour, e il piacere di concedersi, alla fine di una dura giornata di lavoro, un buon Martini secco (sbalordito dalla capacità con cui reggeva gli alcolici, Hitchcock le aveva conferito il titolo onorario di The Human Sink, il lavandino umano)”. Con Roberto Rossellini spartì il coraggio, e il privilegio, di inquadrarla alta com’era a figura intera, dal collega, dopo averci fatto anche Notorious (1946) e Il peccato di Lady Considine (1949), subì l’onta di perderla: già, non pianse solo Anna Magnani, per la relazione tra il regista e l’attrice di Stromboli. Ingrid “possedeva la nordica bellezza e la sofisticata apparenza di frigidità che Hitchcock prediligeva nelle attrici, perché queste qualità gli consentivano di caricare di brucianti valenze sensuali i gesti più insignificanti, e di rivelare insospettabili passioni dietro glaciali compostezze”, molto altro poté la chioma, sicché “Bergman sarebbe diventata l’interprete perfetta, il vero prototipo del suo biondo ideale”, malgrado il Technicolor avrebbe finito per favorire il platino di Grace Kelly. Anche con lei tre titoli, Il delitto perfetto (1954), La finestra sul cortile (1954) e Caccia al ladro (1955), anche lei dotata di ‘uno sguardo che suggerisce intelligenza’, anche lei “attenta alle indicazioni del proprio regista, il quale si trovò a vivere una situazione emotivamente esaltante e pericolosa che avrebbe rievocato dolorosamente ne La donna che visse due volte (1958)”. Prima, anche da lei, l’abbandono, complice il matrimonio principesco con Ranieri III di Monaco celebrato il 19 aprile del 1956: “Il dopo Grace, al pari del dopo Ingrid, è traumatico. Per i successivi dieci anni Hitchcock sarà alla disperata, affannosa, impossibile ricerca di una terza incarnazione del suo biondo ideale”.
Verrà Kim Novak, ovvero La donna che visse due volte, ma senza particolare soddisfazione: ‘Non dico che non sia un’artista, dipinge benino’, la brutalizzò Hitch. Verrà la Janet Leigh di Psyco (1960), al cui strillo di paura più forte Hitch si votò per la scelta del manichino di Norma Bates. Verrà Tippi Hedren, la star de Gli uccelli (1963), che Fellini riteneva fosse il più grande film di Alfred, e Marnie (1964), per cui invero il regista sperò fino all’ultimo nel ritorno di Grace. Ma il 7 marzo 1979, al Beverly Hilton Hotel di Los Angeles, quando l’American Film Institute gli dedicò una serata d’onore, e quel Lifetime Achievement Award, sul palco c’era Ingrid Bergman. E non aveva dimenticato la lezione che Hitch le aveva impartito decenni prima: “‘Ingrid, fake it!’ (fai finta)”.