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 2021  aprile 11 Domenica calendario

Il maschio rischia un futuro sterile

Il maschio è in via di estinzione. Dal 1973 a oggi gli spermatozoi sono diminuiti mediamente del 60 per cento. Sono anche più deboli e con il Dna danneggiato. Se proseguiremo lungo questa china, nel 2045 non ce ne saranno più. Questo è l’allarmante Count Down («Conto alla rovescia») che campeggia nel titolo del libro scritto con la giornalista Stacey Colino da Shanna Swan, epidemiologa del Mount Sinai Hospital di New York, tra le maggiori esperte di salute riproduttiva e medicina ambientale. Le abbiamo chiesto di raccontarci che cosa sta succedendo.
I colpevoli del collasso della fertilità maschile sarebbero alcuni composti chimici, molto diffusi. Ma come abbiamo fatto a non accorgercene prima?
«Le evidenze cliniche sul declino della salute riproduttiva maschile sono note almeno dal 1992. Gli avvertimenti però non sono stati ascoltati, un po’ perché non si avevano dati sulle cause ambientali del fenomeno, e un po’ perché il tema era psicologicamente delicato. L’infertilità tocca l’identità degli uomini e ne minaccia la virilità. Quanto alle donne, storicamente il biasimo per la mancata maternità è sempre ricaduto su di loro, quindi il tema era sensibile anche sul lato femminile. Adesso molte coppie hanno difficoltà ad avere figli, ne parlano, apprendono che anche gli amici hanno lo stesso problema. È diventato un sentire comune. Lo stesso è accaduto per il riscaldamento climatico: dopo un lungo periodo di sottovalutazione, si è raggiunta una massa critica di consapevolezza».

Lei scrive che dobbiamo eliminare la colpa e la vergogna da questo tema, parlarne senza tabù e razionalmente. Può spiegare attraverso quali meccanismi biologici alcune sostanze chimiche danneggiano la riproduzione? 
«La nostra salute dipende da un complesso sistema di segnali che vanno da un organo all’altro e sono mediati dagli ormoni. Noi sappiamo che alcuni composti chimici – come gli ftalati usati per ammorbidire le plastiche, o altri additivi come il bisfenolo A – interferiscono con il sistema endocrino, soprattutto durante lo sviluppo del feto, alterando o interrompendo la produzione di testosterone. Lo sviluppo è una danza delicatissima, in cui bisogna rispettare finestre temporali precise. Queste sostanze passano dai prodotti ai cibi e all’acqua, da qui al circolo sanguigno della madre e quindi al feto, manomettendo i recettori ormonali e procurando seri danni allo sviluppo sessuale e del cervello. È possibile che questi interferenti endocrini disturbino anche il sistema immunitario, contribuendo, nei Paesi più industrializzati, alla diffusione di malattie allergiche e auto-immuni».
Se l’interferenza avviene nel corso dello sviluppo, allora queste sostanze fanno male anche alle donne e ai bambini, non solo ai maschi adulti.
«Certo, lo vediamo per esempio negli effetti dell’eccesso di testosterone nello sviluppo femminile. Il declino della salute riproduttiva riguarda oggi in egual modo maschi e femmine. Quanto ai bambini, le interferenze endocrine producono genitali più piccoli e alterano lo sviluppo delle differenze sessuali. Si tratta di effetti sistemici e permanenti».
In Italia, in particolare in Veneto, abbiamo un serio problema di esposizione ai composti perfluoroalchilici (Pfas), usati nell’industria come impermeabilizzanti. Nel libro lei li descrive come «composti chimici eterni», perché resistono a tutto, non si degradano nell’ambiente e nel corpo umano, quindi tendono ad accumularsi sempre di più, danneggiando i tessuti e perturbando gli equilibri ormonali.
«Io non studio direttamente i Pfas, ma i dati sperimentali che ho letto sono preoccupanti. Anch’essi ingannano i recettori umani e sono interferenti endocrini dannosi per lo sviluppo sia maschile sia femminile».
Ma come si fa a dimostrare il legame causale tra l’esposizione a una certa sostanza chimica presente nell’ambiente e un danno specifico alla salute?
«Su questo dobbiamo essere rigorosi. Per ovvi motivi etici non possiamo fare esperimenti sugli esseri umani al fine di verificare gli effetti di un inquinante. Noi possiamo dire che una sostanza chimica è dannosa per la salute umana solo quando abbiamo fatto esperimenti in laboratorio, poi esperimenti con modelli animali appropriati, e infine confrontiamo questi risultati con i dati ambientali ed epidemiologici umani. Solo quando il quadro è completo possiamo affermare che c’è un rapporto di causa-effetto».
A quel punto li dobbiamo vietare.
«Certo, e su questo in Europa siete molto più avanti di noi. La vostra legislazione assegna al produttore la responsabilità di provare che il composto chimico è sicuro prima di introdurlo in commercio. Da noi vale il contrario: si assume che una sostanza chimica sia sicura finché non si dimostra che fa male. Il risultato è che la vostra lista delle sostanze proibite è cento volte più lunga della nostra».
Naturalmente il problema non è la chimica, ma il suo uso. Leggendo la lista dei prodotti in cui ci sono quei composti, si vede che sono pressoché ovunque: plastiche, elettronica, confezioni, cosmetici, pesticidi, detergenti, vernici, giocattoli, pentole. Come facciamo a liberarcene senza stravolgere il sistema industriale?
«Non so quanto dobbiamo cambiare il nostro modello economico, ma so che l’industria deve verificare sperimentalmente che ogni composto chimico introdotto sul mercato non sia dannoso alla salute e all’ambiente. Le mie ricerche ovviamente non piacciono alle aziende, perché devono rivedere i loro processi di produzione, e non piacciono ai politici, costretti ad ammettere ogni volta di non avere vigilato abbastanza. La sensibilità del pubblico però sta aumentando».

L’attivista ambientale Erin Brockovich, interpretata al cinema con successo da Julia Roberts, ha salutato con grande favore l’uscita del suo libro. 
«La sua battaglia in California contro l’inquinamento delle falde acquifere con cromo esavalente fu decisiva, perché portò all’attenzione generale la necessità di leggi in difesa dell’ambiente e della salute, ispirò molti movimenti ambientalisti, accrebbe la coscienza collettiva. Anche Greta Thunberg ha rilanciato l’allarme contenuto nel mio libro. I social network possono avere un ruolo decisivo nel diffondere la consapevolezza che il degrado dell’ambiente ha effetti molto nocivi sulla salute. Servono azioni dall’alto, cioè normative internazionali, e dal basso, cioè movimenti che facciano pressione».
Il libro è ricco di suggerimenti per limitare l’esposizione a queste sostanze nella vita di ogni giorno. Alle donne che decidono di ritardare la maternità consiglia di congelare gli ovuli a vent’anni, come polizza di assicurazione. Abbiamo ancora margini per evitare un futuro di sole fecondazioni in vitro e uteri artificiali? Si può fermare o almeno rallentare il conto alla rovescia?
«Certo, ma dobbiamo capire di avere un problema globale, agire rapidamente ed essere lungimiranti. È stato calcolato che, se azzerassimo ora l’esposizione a queste sostanze, i loro effetti negativi svanirebbero in tre generazioni. Quindi dobbiamo lavorare adesso per la salute riproduttiva dei nostri bisnipoti».