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 2021  aprile 11 Domenica calendario

Yuri Gagarin in volo, 60 anni fa

Con lo Sputnik eravamo rimasti tutti col naso all’insù a guardare quella stella velocissima che sfrecciava nella notte. Ma adesso in quella specie di grosso uovo di metallo simile allo Sputnik II, che aveva già portato nello Spazio Laika, la cagnetta più famosa del secolo, c’era un uomo. Un pilota sparato nello Spazio per l’impresa più mirabile mai tentata, seguendo i sogni di grandi scrittori come Jules Verne e H.G. Wells. Questa volta Yuri Gagarin dopo un volo di appena undici minuti era in orbita attorno al nostro pianeta in una navicella ben più grande dello Sputnik. Da lassù poteva vedere tutta le terra come noi vediamo la Luna. 
Sessant’anni fa, il 12 aprile del 1961, mentre la rivalità fra russi e americani era più accesa che mai, la Vostok era partita dal poligono di Baikonur in Kazakistan. I controlli di rito, il conto alla rovescia e poi una semplice parola: «Poyekhali», «andiamo!». Gli Stati Uniti rimasero con un palmo di naso perché avevano già pronto un loro astronauta che un mese dopo sarebbe dovuto decollare per il primo volo spaziale umano. Alan Shepard si staccò effettivamente da terra il 5 maggio, ma il nome che sarebbe rimasto per sempre nella mente di tutti è quello di Gagarin, il ventisettenne tenente (promosso maggiore durante il volo) con un fisico e un sorriso che più russo non si poteva. 
Dopo il rientro a terra fu ricevuto nelle principali capitali del mondo e a Londra fu invitato a pranzo dalla regina. Ancora oggi, interrogata dalla Bbc, Elisabetta II ha un ricordo nitido: «Come le sembrò?», «Russo!», ha risposto di getto la sovrana qualche settimana fa. Tutti rimasero affascinati da quel volto aperto e allegro che fece il giro del mondo. Un sorriso indimenticabile che, purtroppo, si spense dopo appena sette anni, a causa di un incidente aereo. Fu scritto che aveva bevuto, che non aveva retto alla pressione derivante dalla fama mondiale. Ma ora sappiamo dagli archivi segreti che non fu affatto così. 
Il 27 marzo del 1968 Gagarin era a bordo di un Mig quando un Sukhoi 15 che era sceso troppo in basso passò vicino al suo aereo che entrò in un avvitamento fuori controllo e precipitò. 
Erano le 9 e 07 del mattino quando il possente razzo R-7 si levò in volo per portare Gagarin a una distanza massima di 217 km dalla Terra. In effetti parecchie cose andarono storte durante quel volo e l’intera impresa si sarebbe potuta risolvere varie volte in un disastro. Già l’orbita, ad esempio, era sbagliata, visto che la navicella arrivò a un apogeo di 302 chilometri. 
Tutto era stato calcolato perché, anche in caso di guasto dei razzi, la navicella incominciasse a rientrare nell’atmosfera dopo quattro giorni (i sistemi di supporto per il pilota erano sufficienti per una sopravvivenza di dieci giorni). Ma con quell’orbita, la Vostok sarebbe rimasta nello Spazio per un mese! Per fortuna il sistema di rallentamento entrò regolarmente in funzione 67 minuti dopo l’ingresso in orbita, quando Gagarin aveva quasi completato un giro completo attorno al pianeta (in totale il volo durò 108 minuti). Il pilota aveva lasciato una lettera di addio alla moglie Valentina, nel caso le cose fossero andate male: «Cara Valyusha, sai quanto sia contento perché hanno scelto me… Fino a oggi ho vissuto onestamente, nella verità e per il bene del popolo e continuerò a farlo fino alla fine». 
Dall’oblò della navicella osservò per la prima volta il nostro pianeta da lassù. «È bellissimo e si vede tutto perfettamente», comunicò a Sergej Korolyov, il padre del programma spaziale sovietico. 
«Posso distinguere le grandi catene montuose, i fiumi, le foreste e le isole. La Terra è circondata da un alone blu». 
Il rientro nell’atmosfera avvenne con un angolo più piatto del previsto e la navicella iniziò a ruotare su se stessa molto velocemente; il rallentamento fu fortissimo. I primi ad avvicinarsi furono dei contadini della regione di Saratov. «Sono un sovietico», disse il pilota per rassicurarli. 
Per il primo segretario del Pcus Nikita Krusciov fu un successo clamoroso, la conferma che presto l’Unione Sovietica avrebbe raggiunto gli Stati Uniti e che i suoi cittadini avrebbero avuto un tenore di vita superiore a quello degli americani. Poi, però, le cose andarono diversamente, come sappiamo.