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 2021  aprile 11 Domenica calendario

Intervista a René De Ceccatty (che ha scritto una biografia su elsa Morante)

«La vita privata di uno scrittore è pettegolezzo; e i pettegolezzi, chiunque riguardino, mi offendono», dichiarò Elsa Morante. Notoriamente gelosa della propria intimità, la scrittrice romana e autrice de La Storia, si augurava che nessuno avrebbe osato entrare nel suo giardino. Una sfida accettata e vinta da René De Ceccatty, il saggista e drammaturgo francese che ha scritto Elsa Morante. Una vita per la letteratura (Neri Pozza pp.416 20) vincendo il Premio per la Letteratura nella decima edizione del Premio De Sanctis (la cerimonia di premiazione verrà trasmessa in diretta su Rai2, mercoledì 14 aprile alle 18, da Villa Doria Pamphilj, a Roma). Dopo aver scritto le biografie di Alberto Moravia e Pier Paolo Pasolini, De Ceccatty (Tunisi, classe 1952) rispondendo al telefono da Parigi «in una situazione di grande incertezza per via dell’ennesimo lockdown» – chiude il cerchio con un ritratto a tutto tondo di Elsa Morante, senza tacerne la fascinazione per il mondo omosessuale e la voglia di grandezza che la rese sempre irrequieta: «Oggi sulla scena letteraria italiana non c’è nessuno come lei».
Monsieur De Ceccatty, perché ha scritto questa biografia?
«Ci sono tanti motivi validi. Le dico il primo: vorrei che i lettori ricominciassero a leggere Elsa Morante».
È stata dimenticata?
«Per fortuna l’opera della Morante è ancora importante in ambito accademico, per via della sua attenzione al mondo omosessuale e per la forza del contesto femminile». 
È stata una sfida raccontare le vita di Elsa Morante?
«Senz’altro. Ma avevo scritto già la biografia di Moravia (edita da Bompiani nel 2010, ndr) che fu suo marito dal 1941 al ’62 e di Pier Paolo Pasolini (pubblicata da Gallimard nel 2005, ndr) che fu un suo amico intimo, dunque conoscevo il suo mondo. Ma Elsa Morante odiava parlare in pubblico di sé stessa. Ho avuto l’agio di parlare con tanti suoi amici fra cui Carlo Cecchi, Dacia Maraini, Ginevra Bompiani e il nipote, Daniele Morante ma ho scelto di mettere al centro della narrazione la sua opera. Oso pensare che lei l’avrebbe apprezzato».
Elsa Morante e Alberto Moravia che tipo di rapporto avevano?
«Nella vita quotidiana avevano problemi ma non c’era alcuna invidia artistica fra i due. Pensi, la prima volta che ho intervistato Moravia a Roma, mi ha detto: La grande romanziera italiana del Novecento è Elsa. E lei aveva con lui un legame fortissimo. Si sposarono il 14 aprile del ’41, sperando che il rito cattolico officiato nella Chiesa del Gesù, molto in vista a Roma, li avrebbe protetti dal fascismo, coprendo le loro origini ebraiche».
Invece?
«Dovettero sfollare a Fondi, finirono nelle liste degli scrittori invisi al regime fascista. Nel frattempo, il loro legame si rafforzò e divenne molto più che una convenzione, entrambi cercavano l’assoluto attraverso la scrittura».
Elsa Morante ebbe una burrascosa relazione con Luchino Visconti e amò il pittore newyorchese Bill Morrow. Perché tanta fascinazione per l’amore impossibile e l’ambiente omosessuale?
«Ci sono tante ragioni valide, partendo dal fatto che Augusto Morante, il marito di sua madre, non era il padre biologico di Elsa e, forse, era omosessuale. Inoltre, il suo vero padre, Marcello Lo Monaco, morì suicida nel 1943. Questo insieme di cose la convinse che la vita quotidiana, banale e ordinaria, non faceva per lei e dopo la fine del matrimonio con Moravia, andò alla ricerca di un amore assoluto, anche platonico, affascinata dal mondo omosessuale nella ricerca del perduto legame paterno».
E perché Pasolini volle rompere la loro amicizia?
«Fu una specie di vendetta. Pasolini e Morante erano molto intimi, lei lo aiutò per la realizzazione dei suoi film e si prestò come anche comparsa. Ma lei voleva bene anche a Ninetto Davoli e quando lui ruppe la relazione con Pasolini per sposarsi, lei parteggiò per Ninetto, certa che un ragazzo di ventitré anni avesse il diritto di amare una ragazza. Tutto ciò creò una frattura nella loro amicizia». 
Gli scrittori, pur se geniali, possono rivelarsi miserabili?
«Sono umani, hanno debolezze come tutti noi».
Ma oggi c’è una scrittrice come Elsa Morante?
«No. Elsa fu una donna irriducibile, insubordinata, solitaria. Qualcuno la accosta a Elena Ferrante ma è un paragone impossibile, non hanno niente in comune».
Nell’odierno clima dominato dal politicamente corretto, la libertà d’espressione è in discussione? 
«La morale e la letteratura non devono andare a braccetto. È un gran problema e lo vediamo nella rivalutazione degli autori postumi scivolando verso un bieco moralismo. In questi giorni ricorrono i duecento anni dalla nascita di Charles Baudelaire ma un autore di quella potenza, oggi incontrerebbe serie difficoltà nella pubblicazione per timore di urtare la morale. La letteratura è un luogo di protesta e tale deve restare». 
Anche il ruolo dei biografi è più delicato?
«Assolutamente. In Francia e in America si sta diffondendo l’idea che il traduttore debba avere la stessa razza e lo stesso sesso dell’autore da tradurre. È assurdo, una vera stupidaggine moralista».