Specchio, 11 aprile 2021
Intervista a Stefano Domenicali
Stefano Domenicali è nato a Imola, ha diretto la Ferrari, da cento giorni è a capo della Formula 1 e quando era piccolo voleva diventare pilota. Di aerei, però. «Non ho realizzato quel sogno, ma è andata bene anche così». Risponde in videochiamata dall’auto mentre è diretto a Milano «perché c’è molto da fare e bisogna ottimizzare il tempo». La sua nomina è stata salutata in ottobre sul pannello luminoso della Nasdaq Tower a Times Square, nel cuore di Manhattan. «Non me l’aspettavo» giura. «Vedere il tuo nome in una piazza così importante è motivo d’orgoglio».
Dal bambino che guarda il cielo ad amministratore delegato di uno degli sport più ricchi e influenti del pianeta: quali sono stati i passaggi?
«Ho cominciato andando a vedere i Gran premi di Imola alla Tosa. Da studente davo una mano agli organizzatori nel paddock, poi sono entrato in Ferrari e ne sono diventato team principal nel 2008».
Nel 2010 ad Abu Dhabi, Alonso perde il Mondiale perché un ingegnere sbaglia una decisione banale. Ha mai pensato a come sarebbe stata la sua vita professionale se avesse vinto quel titolo?
«Forse sarei rimasto di più a Maranello, invece di andare all’Audi e poi alla Lamborghini, avrei perso delle occasioni e oggi non sarei qui. Comunque di quell’errore sono stato responsabile anch’io: se avessimo vinto avrei festeggiato, visto che abbiamo perso mi assumo la colpa».
Se parliamo dei Gran premi nella sua città, che ricordi le vengono in mente?
«Ho ancora davanti agli occhi il 1° maggio del ‘94. La morte di Ayrton Senna mi resterà dentro per sempre. Ricordo come fosse ieri quel silenzio assordante: 120 mila persone che assistono alla tragedia senza dire una parola. Degli anni successivi penso alle vittorie epiche con Michael Schumacher».
Che impressione le ha fatto vedere al volante in Bahrein il figlio Mick?
«Conosco Mick da quando era nel pancione della mamma. È arrivato in Formula 1 per meriti suoi dopo aver vinto in tutte le serie minori. Adesso deve consolidare questa esperienza. Sono convinto che dirà la sua da protagonista, magari non subito: prima deve imparare che cos’è la Formula 1, poi gli servirà una macchina che gli consenta di mettersi in evidenza. La sua presenza valorizza un campionato che promette spettacolo. Mai visti insieme tanti piloti così forti e agguerriti, inclusi quattro campioni del mondo».
Cominciamo da Hamilton e Verstappen?
«Hamilton ha vinto in Bahrein e punta al titolo dei titoli, l’ottavo, per superare Schumacher. Verstappen ha dimostrato di poterlo attaccare, perché la Mercedes non sembra più imbattibile e la Red Bull è cresciuta. Avremo modo di divertirci».
All’appello manca la Ferrari.
«Vista la posizione che ho avuto e che ho sarebbe sbagliato esprimere commenti. Posso dire che in Bahrein ha riguadagnato una posizione e può avvinarsi al vertice. Stanno lavorando, come ha detto il presidente Elkann, per tornare nel più breve tempo possibile là dove devono essere. La mia speranza è che questo avvenga, perché la Ferrari è un patrimonio dell’Italia e della Formula 1».
Com’era il suo rapporto con Binotto?
«Ho dei ricordi bellissimi e siamo rimasti amici. Il mio augurio è che possa trovare la chiave di lettura per fare reagire la squadra, perché se lo merita anche a livello personale».
Leclerc è stato la scelta giusta?
«Sì, perché ha un talento enorme. La sua crescita premia una idea, quella dell’Accademia per i giovani piloti, che lanciammo a Maranello nel 2009».
Torniamo all’«altro» Hamilton, l’attivista per i diritti umani e contro il razzismo. Avete parlato?
«Sì, ho incontrato lui e gli altri piloti in Bahrein. Oltre che di corse, abbiamo discusso delle iniziative che vogliamo portare avanti sotto la piattaforma "We race as one": sostenibilità, lotta al razzismo, inclusione sono temi al centro della nostra agenda strategica. La Formula 1 vive in questo mondo e non può ignorare certi temi».
Quando ci sarà spazio in pista per una donna?
«Spero presto. L’importante è che non ci siano barriere, poi sarà il talento a selezionare chi può correre».
Quanto è complesso in tempi di pandemia dirigere uno sport globale che gira da un continente all’altro?
«Quello che è stato fatto nel 2020 sembra un miracolo, in realtà è frutto di un accurato lavoro scientifico. Nessuno pensava che sarebbe stato possibile portare a termine una stagione e nello stesso tempo porre le basi dello sviluppo futuro, come il rinnovo del Concorde Agreement (il patto che regola i rapporti tra squadre, Fia e F1, ndr) e il budget cap (un tetto di spesa per livellare i valori di grandi e piccoli team, ndr).
Le cito gli slogan dei due che l’hanno preceduta. Secondo Bernie Ecclestone, la F1 è un ristorante stellato e non va trasformata in un fast food. Secondo Chase Carey, ogni Gp deve essere uno spettacolo tipo Super Bowl. Come sarà la F1 di Domenicali?
«Mi trovo in linea con entrambi. Bernie ha costruito la Formula 1 moderna, Chase ne ha raccolto l’eredità e ha voluto trasformare ogni evento in qualcosa di straordinario, di grande spettacolo ed emozione. Cercheremo di farlo appena si potrà di nuovo coinvolgere il pubblico».
Che cosa ha trovato cento giorni fa quando ha cominciato questo lavoro?
«Nella nostra struttura c’erano un ambiente che conoscevo nelle dinamiche principali e tante persone con cui in ruoli diversi avevo condiviso esperienze nel passato: persone motivate per portare avanti le sfide del futuro. Mi sono calato nel lavoro con entusiasmo, come è nel mio carattere. I numeri del primo Gran premio sono stati eccezionali. Si era detto che questa sarebbe stata una stagione transitoria in attesa delle novità rinviate al 2022, in realtà le premesse sono eccezionali. Però non dimentichiamo le difficoltà causate dal Covid: dobbiamo essere elastici, pronti ad adattarci».
Monza in settembre con il pubblico sotto il podio è un obiettivo o una speranza?
«È un augurio. Stiamo seguendo in diretta con gli organizzatori l’evoluzione del contagio e le regole per la lotta al virus nel mondo. Speriamo che a settembre ci sia almeno un’apertura parziale al pubblico. Viceversa sarebbe un peccato, come sarà un peccato vivere Imola tra due settimane a porte chiuse. Sono convinto che sarebbe stato un Gran premio da tutto esaurito. Purtroppo questa è la situazione e dobbiamo accettarla».
In luglio a Silverstone si correrà la prima gara sprint della F1 al posto delle qualifiche tradizionali: non c’è il rischio di caricare troppo il giocattolo e di danneggiarlo?
«Abbiamo un obiettivo: offrire al pubblico una più intensa attività in pista. Cominceremo con un’ora di prove libere seguita da una qualifica come quella attuale. Sabato si correrà una gara molto breve il cui ordine di arrivo definirà la griglia della gara vera, quella della domenica. Si tratta di un esperimento, vedremo se è il caso di introdurlo con regolarità il prossimo anno».
Secondo indiscrezioni, prossimamente il Circus sbarcherà in Sud Africa e a Miami: vero o falso?
«C’è un grandissimo interesse da parte di organizzatori in vari Paesi. Presto faremo annunci importanti».
C’è posto per altre case automobilistiche?
«A patto che siano di alto profilo e abbiano la volontà di condividere il Dna della Formula 1».
Generazioni di appassionati hanno amato i tradizionali motori aspirati per il loro rumore. A lei manca quel rombo? Che motore avranno le monoposto della prossima generazione?
«Il V12 in particolare aveva delle frequenze meravigliose. Per gente della mia generazione è ancora un valore assoluto: migliorare il suono sarà al centro dell’agenda. Quanto alla power unit, l’uso dell’ibrido assieme al consumo di biocarburanti serve a promuoverne la sostenibilità».
Come sarà l’automobile del futuro?
«È sbagliato fare guerre di religione, però io non credo ai tempi di trasformazione del parco macchine attuale in elettrico, per una serie di problemi e di criticità evidenti a tutti, tranne a coloro che non vogliono vederli. Sono invece convinto che l’auto possa restare quel mezzo di libertà che ha caratterizzato l’era post industriale».