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 2021  aprile 11 Domenica calendario

Intervista a Edmund de Waal

Edmund de Waal è un artista che ha esposto nei musei di tutto il mondo. Il suo libro di memorie best seller, Un’eredità d’avorio e di ambra, ha vinto numerosi premi ed è stato tradotto in 29 lingue. Il suo nuovo libro è Letters to Camondo. «Mio padre è un ecclesiastico anglicano, per metà ebreo - racconta lui. Mia madre, figlia di un vicario di campagna, una storica di monachesimo. Sono cresciuto nella Chiesa d’Inghilterra, ho scritto dei Quaccheri e leggo poesie buddhiste zen. Amo i salmi. Sono metà inglese, un quarto olandese e un quarto austriaco e completamente europeo».
La sua famiglia d’origine, gli Ephrussi, una dinastia ebraica russa di banchieri, arrivò a Vienna da Odessa. I suoi cugini Camondo erano banchieri dell’Impero Ottomano emigrati da Istanbul a Parigi. Di cosa parla il suo libro?
«Di assimilazione: dove inizi e dove scegli di andare. E quando vai nel posto che hai scelto, cosa porti con te e come diventi una nuova persona in un nuovo Paese? Per i Camondo è il viaggio da Istanbul a Parigi, dove entrano a far parte della società ebraica della Belle Époque. Poi c’è la storia di cosa significhi assimilarsi e c’è il momento doloroso in cui questa perfetta famiglia parigina viene deportata ad Auschwitz».
Perché ha scritto il libro sotto forma di lettere al conte Moïse de Camondo, che vive nella casa che diventerà il museo dedicato al figlio Nissim, aviatore morto nella I guerra mondiale ?
«Un anno fa, durante la prima chiusura per il Covid, ero nel mio studio, solo. Avrei dovuto essere a Parigi, al Musée Nissim Camondo, per una mostra. Mi sono ritrovato a parlare ad alta voce con Moïse de Camondo, e quei discorsi sono diventari lettere, un modo naturale di fargli domande. Ovviamente non mi risponde, ma gli chiedo dell’assimilazione, perché ha voluto quella casa, e delle sue collezioni, di Montaigne. È stato un modo per confrontarmi con l’assoluta stranezza di quella casa perfetta e del memoriale di suo figlio. E la terribile storia è che è diventata anche un memoriale per sua figlia e i suoi nipoti».
Sapendo di non essere del tutto accettate, le famiglie ebree cercarono di cancellare le loro radici per diventare francesi. Come l’hanno fatto?
«Hanno lasciato incredibili eredità alla Francia: Camondo la sua casa; Béatrice Ephrussi de Rothschild la sua villa in Costa Azzurra all’Institut de France e la famiglia Reinach Villa Kérylos. Questo è molto doloroso, perché fai pubblicamente tali doni alla Francia per esprimere la gratitudine di essere stato accettato, e poi dieci anni dopo ti si ritorce contro».
Come segno di assimilazione gli Ephrussi sono tutti ritratti da Renoir, il cui famosissimo ritratto di Irène Cahen d’Anvers, poi moglie di Moïse de Camondo, cadde per un po’ nelle mani di Goering. Strano che poi abbia finito per essere venduto dall’ultima erede dei Camondo, la stessa Irène, a un nazista svizzero.
«È una storia degna di un film. Sei un nuovo ricco a Parigi, hai bisogno di prestigio, quindi ti rivolgi a Renoir. Nel suo dipinto Irène sembra una ragazza gentile. Il suo passaggio nelle mani di Goering e poi la restituzione è tragica. Irène sopravvive alla guerra, ma i suoi figli no e lei vende il quadro a questo mercante d’armi. Ora è in un museo in Svizzera».
Moïse de Camondo aveva solo 37 anni quando la moglie lo lasciò. Ci furono altre donne importanti nella sua vita?
«Dal 1917, quando Nissim viene ucciso, Moise trascorre tutta la sua vita nel dolore, non riesce a superare il lutto per la morte del figlio. Cerca solo di non cambiare nulla, per conservarne intatta la memoria. La situazione complessa in cui si trova Parigi nei primi anni ’30 non sembra riguardarlo affatto. Moïse consegna il Museo allo Stato francese alla sua morte, nel 1935. La figlia Béatrice e il marito, il compositore Léon Reinach, e i loro figli Fanny e Bertrand partecipano alla cerimonia felici. Poi nel 1940 i nazisti occupano Parigi e quindi il governo di Vichy e la polizia nazista francese, rilevano il numero 61, la casa di suo zio».
Perchè la casa al numero 63, il museo, non è stata toccata?
«Non lo so. Forse si pensava che sarebbe diventata l’abitazione di un funzionario nazista. O forse perché non c’è un tocco di ebraicità, ogni legame con Costantinopoli è stato eliminato, ed è, ironicamente, una casa ariana».
Come mai mai sua figlia e nipoti pensavano di essere al sicuro in Francia, e non hanno cercato di andare in America o in Inghilterra come gli altri?
«Questo è il cuore del libro. È la stessa conversazione che continuo a intrattenere nella mia testa con i nonni: "Perché nel 1938 pensavate di essere ancora al sicuro a Vienna?" Non c’è risposta. La gente scappa quando è troppo tardi. Forse i Camondo si sentivano protetti perché avevano dato così generosamente la casa e le collezioni alla Francia. E invece Béatrice, l’unica figlia di Moïse, suo marito Léon Reinach, i loro figli Fanny e Bertrand, vengono deportati ad Auschwitz, dove muoiono. La famiglia Camondo viene cancellata. Sono arrabbiato e frustrato dal fatto che pensassero di essere al sicuro»
Pensa che ci sia un ritorno dell’antisemitismo?
«Credo possa esistere l’eventualità di un ritorno all’antisemitismo. Come è possibile che il partito laburista britannico sia guidato da chi non crede che l’antisemitismo sia una minaccia e respinge tutte le denunce di antisemitismo? Sono cresciuto con un padre dal forte accento austriaco che aveva 10 anni nel 1939 e voleva diventare completamente inglese. E diventa il decano di Canterbury. E ho una nonna ebrea viennese fino al midollo. Sono cresciuto confuso, sono andato a Cambridge e parlo come il principe Carlo, ma cerco ancora di capire a quale posto appartengo».
Lei è uno scrittore e un artista che espone le sue ceramiche nei musei. Come combina questi due doni?
«C’è una connessione in qualche strana parte del mio cervello tra la creazione di oggetti e la scrittura. Non sono percorsi paralleli. È qualcosa che a volte diventa scultura e a volte libro, ma ha a che fare soprattutto con me stesso».
traduzione di Carla Reschia