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 2021  aprile 11 Domenica calendario

Il Vangelo della domenica

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv. 20, 19-20). Era sera, dunque. Le porte erano chiuse. Il sentimento dei discepoli era paura. Così Giovanni ci presenta i discepoli: chiusi, al buio e timorosi. Quante volte proviamo questi sentimenti di sfiducia? Gesù era morto. Cala il sipario. La fiducia viene meno. Vige il sospetto. Bisogna chiudersi dentro.
Leggendo ancora sappiamo che questo, in realtà, è lo sfondo dark dell’apparizione del Risorto. Ci sono, dunque, tutte le condizioni per una manifestazione gloriosa e dirompente: c’è il buio in sala e le luci possono essere accese in modo da accecare. Ma il racconto evangelico non va in questa direzione. Non c’è alcun coup de théâtre qui. Il timore non è vinto da nessuno sfarfallio di luci, né da contrasti netti tra bianco e nero. Anzi si dice: venne Gesù, stette in mezzo e disse loro, come se fosse passato un amico, un conoscente che viene a fare una visita e si ferma. Le luci di scena restano morbide, soffuse, e dunque accoglienti, umane. Il Figlio di Dio non è deus ex machina che cala dall’alto. La sceneggiatura evangelica non è mai hollywoodiana.
Gesù resta a un livello personale, orizzontale. E che fa? Mostra mani e fianco. Fa vedere le parti ferite del suo corpo, le piaghe, segno inconfondibile del suo dolore, e anzi della sua morte. Mostra l’orrore. Che cos’è, dunque, che buca il timore dei discepoli? Non c’è dubbio: il fatto di vedere che quelle piaghe ben visibili che hanno ridotto i discepoli a esseri timorosi non sono state l’ultima parola sulla vita di Gesù. Il fatto di constatare, insomma, che quel Gesù morto è vivo. Non uno zombie, un morto che cammina, non un ologramma o un’immagine di pixel a bassa risoluzione. Gesù è un vivente che chiede a Tommaso l’incredulo di fare esperienza fisica della sua presenza. Dio è sempre esperienza ad alta risoluzione. Tommaso aveva insistito senza fidarsi della gioia altrui: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo. Gesù accetta il suo dubbio. Appare in sua presenza e dice: Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco. Vedere il Risorto, dunque, significa vedere la vita, ma proprio dal punto di vista delle ferite. È fare pace con quelle piaghe perché non sono state incapaci di annullare la vita di Gesù. Per questo Gesù può dire “pace a voi” e i discepoli possono superare il timore e gioire, in un balzo di emozioni che mozza il fiato. Cambia la percezione della realtà: dalla minaccia alla fiducia.
Questo è il punto, allora: la gioia vera della fede non è mai luce psichedelica, fantasmagorica, paradossale. La gioia della Pasqua non è una luminosità accecante che annulla le ombre e fa diventare tutto bianco come neon. La fede è luce gentile che offre capacità di visione, luce consolante e terapeutica. Se la luce non lenisce e guarisce, allora è luciferina, fanatizzante, esaltante ma certo non evangelica. Non ha a che fare con la Resurrezione di Cristo che “soffia” lo Spirito Santo, come leggiamo.
Allora la gioia vera della presenza del Risorto scaturisce dal constatare che le ferite della vita non bastano a distruggerla, che le voragini della storia non sono l’ultima parola sulla vita del mondo. Che Cristo ha vinto la morte. Ha ragione Tommaso a voler vedere le piaghe, altrimenti non può davvero godere della gioia. E Gesù comprende e acconsente.