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 2021  aprile 11 Domenica calendario

Ucraini preoccupati dalle manovre russe al confine

Il sole di aprile rende meno cupi i palazzi in stile barocco staliniano che incorniciano Majdan, ma il lieve tepore che porta con sé non riesce a dissipare la paura generata dal rincrudire della guerra contro Mosca ai confini orientali del Paese. A Kiev, che dal Donbass dista ottocento chilometri e più di dieci ore di macchina, c’è l’attonita percezione di un disastro imminente. «Stavolta Vladimir Putin fa sul serio perché ha ammassato le sue truppe alle nostre frontiere, inviato l’artiglieria pesante e più volte minacciato d’intervenire per salvare i separatisti filorussi», dice Ivan Pavlik, medico trentenne dal viso lungo e spigoloso che spinge una carrozzina con i suoi gemelli di pochi mesi. «Toccherà a noi andare a difendere la patria dall’aggressore, e siamo pronti a farlo. Se la Russia decidesse di attaccarci, come lasciano presagire i toni usati in questi giorni dai suoi generali, non avremo altra scelta».Ai piedi della statua dell’Indipendenza che sovrasta Majdan, la piazza dove si consumò la rivoluzione pro-europeista del 2014, c’è ancora chi deposita un garofano davanti ai piccoli mausolei dedicati ai suoi martiri. Non lontano, sulle mura dello splendido monastero di San Michele, edificato nel XII secolo, raso al suolo dai sovietici e poi ricostruito nel 1991 dopo l’indipendenza dell’Ucraina, gli abitanti della capitale celebrano oggi altri eroi: i quattordicimila soldati caduti al fronte orientale negli ultimi sette anni, qui ricordati su grandi pannelli di plastica con la fototessera di ognuno di essi. «Quattro anni fa, di mio figlio hanno recuperato solo il berretto azzurro da paracadutista perché il suo corpo fu dilaniato da un razzo sparato dagli invasori. Guardi che bel ragazzo che era», dice Pavlo Bialok, 48 anni, imprenditore immobiliare dai baffi spinosi e i capelli irti, indicando la foto di un giovane sorridente. «Mi terrorizza l’idea che altri ragazzi debbano morire in guerra facendo piangere altri genitori. Spero soltanto che un giorno sarà finalmente istituita una corte internazionale per giudicare tutto il male compiuto da Putin».
Sotto gli stucchi e le cupole dorate del monastero incontriamo Volodimir, giovane novizio dal mento bluastro, infagottato in un saio troppo largo per la sua esile corporatura. Dice: «Negli ultimi giorni, durante la messa la cattedrale si riempie di fedeli come non accadeva da tempo. Si direbbe che sentano il pericolo avvicinarsi. Lo spettro di Mosca ancora aleggia sulla coscienza di molti ucraini, soprattutto per quelli che hanno vissuto il comunismo. Vediamoanche molti parenti delle vittime di guerra, e molti giovani che temono di essere chiamati alle armi». Uno di questi è Orest Shinkarenko, ventitré anni, studente in ingegneria che nel Donbass ha già combattuto come volontario. «Non ho voglia di tornare in quelle trincee, ma temo che sarò costretto a farlo. Di Putin mi spaventa l’aggressività, l’atteggiamento spavaldo, da padrone di casa, anche se siamo indipendenti da ormai trent’anni. Si comporta come un bullo che vorrebbe annettere l’Ucraina senza chiedere un parere del suo popolo. Per fortuna, l’Unione europea e adesso anche gli Stati Uniti di Biden sono compatti al nostro fianco. Restare uniti è il solo modo per evitare le intemperanze del capo del Cremlino. Nel Donbass non difendiamo solo la nostra sovranità nazionale: siamo anche l’avamposto democratico dell’Europa contro le mire russe».
Davanti al grande mercato Bessarabskij, chiuso per la pandemia, l’anziana signora Oleksandra, seduta davanti a una pila di barattoli di sottaceti, sostiene di nutrire nei confronti di Mosca un odio rapace. «Agli inizi degli anni Trenta, i miei nonni furono affamati da Stalin, e morirono entrambi di stenti. Mia madre si salvò per miracolo. Quando ero ragazza, in Ucraina era perfino proibito parlare ucraino. I sovietici c’hanno sempre trattato come gli schiavi del loro impero. Adesso, la Federazione russa sta aspettando il momento propizio per saltarci alla gola».
Intanto, la grave crisi economica che attraversa l’Ucraina è anche dovuta alla distruzione dell’industria metallurgica essenzialmente concentrata nelle regioni occupate di Donetsk e Lugansk dove, soltanto dal 2014 al 2018, sono andati persi 50 miliardi di dollari. Senza contare che per via della guerra, quasi il 6% del Pil è destinato alla Difesa. Soldi spesi bene, secondo Nazar Sirko, 61 anni, insegnante di storia in un liceo di periferia. «Il nostro esercito conta oggi quasi 300mila uomini e Putin sa bene quanto gli costerebbe in termini di perdite umane un’eventuale campagna militare in Ucraina». Per non parlare delle reazioni internazionali che sarebbero durissime. Come accadde dopo l’annessione della Crimea, quando Mosca fu esclusa dal G8 e punita con pesanti sanzioni economiche.