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 2021  aprile 10 Sabato calendario

Intervista a Wilbur Smith



Mister Avventura ha da poco compiuto 88 anni e continua a lavorare senza sosta, deciso a non riposare sugli allori degli oltre 130 milioni di libri venduti finora, quasi 25 qui in Italia. Ma il suo mestiere di narratore, sedentario per eccellenza, non deve ingannarci: «Ho ucciso il mio primo leone, per autodifesa, a dodici anni – racconta Wilbur Smith – poi nella vita sono stato quasi ammazzato da un bufalo, ho visto uomini feriti a morte dagli elefanti, sono stato circondato da grandi squali grigi sulla barriera corallina…».Le parole dello scrittore africano di origine inglese, che arrivano – via computer – dalla villa alle porte di Cape Town dove vive con la moglie Niso, ci ricordano subito che tante delle esperienze adrenaliniche descritte nei suoi romanzi sono state sperimentate in prima persona. Roba già irraggiungibile prima del Covid: figuriamoci ora che siamo prigionieri della pandemia, nell’attesa di un vaccino che per molti sembra non arrivare mai. Tanto che quella parola suggestiva – avventura – sembra essersi cancellata dal nostro vocabolario. Anzi, dal nostro cervello. Una situazione irreversibile? Lo abbiamo chiesto a lui, che la incarna senza “se” e senza “ma” da decenni, in occasione dell’uscita di Tempesta, volume per ragazzi – riuscitissimo – in cui ci trasporta nelle foreste pluviali del Congo. E la sua risposta è questa: attraversiamo l’inferno a testa alta e allenandoci con l’immaginazione, per essere pronti, quando sarà il momento, a riprendere un’esistenza più ricca di emozioni.Nel frattempo, Mr Smith, come trascorre le sue giornate?«Le passo tutte qui, nella mia residenza sulle colline a ridosso della Table Mountain. Ci vivo dagli anni Ottanta: tanti personaggi dei miei libri sono venuti a trovarmi, a “parlarmi”, proprio mentre ero seduto a questa scrivania, nel mio studio».La scelta di restare a casa è stata libera oppure obbligata?«In effetti obbligata. Quando è scoppiata la pandemia il Sudafrica è andato in lockdown molto rapidamente, e malgrado il Paese abbia dato al mondo una delle varianti del virus più contagiose, sono state prese misure severe per tenere la popolazione al sicuro. Noi siamo fortunati, abbiamo un grandissimo giardino dove possiamo fare ciò che amiamo come leggere, fare barbecue, osservare gli insetti o darci al birdwatching. E poi ogni mattina, quando attraverso il patio per spostarmi verso la zona studio, la maestà del paesaggio mi ricorda la bellezza e la soggezione che la natura ispira. Vivere in un posto così fa sentire umili».Dal suo buen retiro il virus le fa comunque paura?«Ho vissuto tante esperienze pericolose nella vita, ho rischiato di lasciarci la pelle, mi piacerebbe dire che non mi spaventa nulla. Però il Covid porta alla morte in maniera lenta e brutale: mi fa venire i brividi solo a pensarci».È pessimista sul futuro a breve e medio termine?«Viviamo in tempi che non hanno precedenti nella storia. Però, per analogia, sono andato a leggere molto di ciò che è stato scritto su come fu affrontata la Spagnola, che uccise tanti giovani alla fine della Prima guerra mondiale. Ogni volta resto colpito dall’era di divertimento che seguì la fine di quella pandemia: i ruggenti Anni Venti, l’età del jazz. Che a sua volta, va detto, fu spazzata via dalla Grande Depressione».Nell’attesa di una rinascita simile, e sperando di non finire nel buco nero della crisi economica e finanziaria, lei continua a scrivere: perché stavolta per i ragazzi?«Mi dà la possibilità di lanciare alla nuova generazione, la più sensibile all’ambiente, un messaggio a favore della conservazione della Terra e di amore per la Natura. Le cose vanno cambiate subito, già da ora».Del resto avventura e gioventù sono un’accoppiata classica…«Vivere avventure è il modo migliore per conoscere il mondo e se stessi: infatti i bambini sono spontaneamente più avventurosi degli adulti.Giocare con i proprio amici a dieci anni è molto più adrenalinico che “giocare” a qualcosa con gli amici a cinquant’anni. E poi a dieci anni si è sempre degli scrittori in erba, nel senso che a quell’età ci costruiamo un mondo di cui noi siamo gli eroi, e in cui, armati di una spada immaginaria, sconfiggiamo i cattivi».In quest’era di pandemia, l’entità malvagia da vincere è il virus. Come impedirgli di uccidere anche il nostro spirito d’avventura?«Dobbiamo tenerlo vivo con la nostra immaginazione. Il miglior modo per sperimentare un’avventura nella realtà è saltare su un aereo, una nave, un treno o un’auto e andare avanti finché non si trova qualcosa che ci ispira e che ci trasmetta una “giusta” quantità di rischio: ad esempio, una parete di montagna; o una strana creatura vivente che emerge dalle acque del Mediterraneo. Ora invece è come se vivessimo tutti in un sottomarino, nei nostri piccoli quartier generali, confrontandoci solo con persone della ristretta cerchia familiare».In altre parole, per farci trovare pronti all’appuntamento con l’avventura quando la pandemia finirà, dobbiamo tenere allenato quel muscolo chiamato cervello?«In questo io sono fortunato perché è da cinquant’anni che mi alleno a vivere in una realtà alternativa in cui posso entrare nell’esercito, uccidere brutalmente un leone, fare l’amore con la donna più bella del mondo, il tutto senza mai abbandonare il mio tavolo di lavoro. Questo è il trucco».Altri consigli per questo periodo nel “sottomarino”?«Esercitare il fisico per quanto possibile, mangiare in modo corretto, non fare troppo affidamento su internet per evadere dalla quotidianità. Molto meglio usare la nostra fantasia: e se fallisce, leggere un bel libro. Perfino un solitario con le carte può aiutare di tanto in tanto: lo sapevano bene i cercatori d’oro in Alaska durante le noiose e fredde notti invernali, quando erano costretti a stare rinchiusi nelle baracche con le riserve di whisky ormai terminate».Scenari stile romanzi di Jack London. Ma davvero la letteratura basta a farci sentire vivi?«Non è abbastanza, ma è tutto ciò che abbiamo in questo momento. Cito Winston Churchill: “Quando stai attraversando l’inferno, fallo a testa alta”».E per i nostri figli e nipoti, così duramente colpiti dall’immobilità, cosa possiamo fare?«L’unica ricetta è farli giocare per quanto possibile nelle strade, nei parchi più vicini, spingerli ad arrampicarsi sugli alberi, a camminare tanto, se si può con gli amici. Siamo animali sociali, i bambini hanno bisogno di altri bambini per sviluppare sia le attitudini interpersonali che la forza fisica. E non teniamoli troppo vicino agli schermi: accordiamoci sul loro utilizzo, non giriamoci dall’altra parte».Lei invece è stato giovane in un mondo senza tv e computer, in terre selvagge: il tipo di avventure vissute da lei sono finite per sempre?«Ho ucciso il mio primo leone a dodici anni per difendere la mia fattoria, mentre i miei genitori erano lontani, il nostro personale minacciato, il bestiame sbranato. Non mi sono divertito a farlo: non avrei mai voluto togliere tanta bellezza e tanta ferocia dal mondo. Non la raccomanderei mai come avventura!Ma oggi ci sono tante persone che portano i figli a vivere avventure in apparenza simili, ma con un bell’equipaggiamento, occhiali da sole e videocamera. Senza alcun bisogno di usare il fucile Remington 22 ereditato dal padre pioniere, come accadde a me».Perciò scommetto che il suo consiglio, una volta placata la pandemia, sarà di venire a esplorare la sua Africa…«Qui sarete sempre i benvenuti. Io vi aspetto. La nostra Nazione Arcobaleno è piena di gente meravigliosa di tutti i colori che ha stipulato un patto di convivenza e il risultato è un’atmosfera affascinante e pacifica, e un grande senso di ospitalità. Non ho mai provato una maggiore sensazione di libertà come andando a luglio nella savana del vicino Botswana, con un binocolo al collo per guardare il grande gioco della vita attorno a me, o nella riserva sudafricana di Cape Nature all’alba, quando il sole sorge tra due oceani».Non vediamo l’ora, Mister Smith.