Tuttolibri, 10 aprile 2021
Intervista a Louise Glück
«Sono una persona molto socievole. Il fatto che non mi piacciano le interviste non significa che sia una reclusa», ha detto la poetessa Louise Glück all’inizio della nostra intervista. Dopo aver vinto il Premio Nobel per la letteratura era stata messa in una situazione difficile, i giornalisti affollavano la strada davanti a casa sua a Cambridge, nel Massachusetts. Il suo telefono squillava ininterrottamente dalle 7 del mattino, un’overdose di attenzione che ha descritto come «un incubo». A questo punto, Glück dovrebbe essere abituata al successo. In una carriera che dura da più di cinque decenni, ha pubblicato una dozzina di volumi di poesie e ha ricevuto praticamente tutti i premi letterari di prestigio: il National Book Award, il Pulitzer, il National Book Critics Circle Award e la National Humanities Medal, tra gli altri.È venerata dai critici letterari e dai colleghi per i suoi versi semplici, diretti e intimi. «Il suo lavoro è come una conversazione interiore. Forse sta parlando da sola, forse sta parlando con noi. C’è una sorta di ironia in questo», ha detto il suo amico ed editore di lunga data, Jonathan Galassi, presidente di Farrar, Straus & Giroux. «Una cosa molto costante nel suo lavoro è quella voce interiore. Valuta sempre l’esperienza rispetto a qualche ideale che non corrisponde mai».Gli ultimi mesi hanno messo a dura prova Glück, che è divorziata e vive da sola, ed era abituata a cenare fuori con gli amici sei sere a settimana prima della pandemia. Per diversi mesi in primavera, ha faticato a lavorare. Poi, alla fine dell’estate, ha ricominciato a scrivere poesie e ha terminato una nuova raccolta, intitolata Winter Recipes From the Collective, che FSG prevede di pubblicare il prossimo anno. «La speranza è che se sopravvivi, dopo ci sarà arte», ha detto.Come ha avuto la notizia del Nobel?«Ho ricevuto una telefonata attorno alle sette meno un quarto. Mi ero appena svegliata. Un uomo che si è presentato come segretario dell’Accademia svedese, ha detto: “La chiamo per dirle che ha vinto il Premio Nobel”. Non ricordo cosa ho detto, ma suonava un po’ sospettoso. Penso di essermi trovata impreparata».Come si è sentita quando ha capito che era vero?«Assolutamente sbalordita dal fatto che avessero scelto un poeta lirico americano bianco. Non ha senso. Adesso la strada dove abito è piena di giornalisti. Tutti continuano a dirmi quanto sono umile. Non lo sono. Ma ho pensato, vengo da un paese a cui non si pensa con affetto in questo momento, sono bianca, e ho avuto tutti i premi. Quindi sembrava estremamente improbabile che avrei mai dovuto affrontare questo particolare evento nella mia vita».Com’è stata la sua vita durante questi mesi intensi e isolanti durante la pandemia? È riuscita a scrivere?«Scrivo comunque in modo molto irregolare, quindi non è una disciplina costante. Per circa quattro anni ho lavorato a un libro che mi ha tormentato. Poi, alla fine di luglio e ad agosto, ho scritto inaspettatamente alcune nuove poesie e improvvisamente ho visto come avrei potuto dare forma a questo manoscritto e finirlo. È stato un miracolo. I soliti sentimenti di euforia e sollievo sono stati compromessi dal Covid, perché ho dovuto combattere il mio terrore quotidiano e le necessarie limitazioni alla mia vita di ogni giorno».Di cosa parla la nuova raccolta?«Dell’andare a pezzi. C’è molto lutto nel libro. Ma c’è anche molta commedia e le poesie sono molto surreali. Ho scritto sulla morte da quando so scrivere. Letteralmente, quando avevo 10 anni, scrivevo della morte. Sì, beh, ero una ragazza vivace. L’invecchiamento è più complicato. Non è semplicemente il fatto che ti avvicini alla tua morte, ma quelle facoltà su cui facevi affidamento – grazia fisica, forza e agilità mentale – vengono compromesse o minacciate. È stato molto interessante pensarci e scriverne».Gran parte del suo lavoro attinge alla mitologia classica e intreccia archetipi mitici con versi contemporanei più intimi sui legami e le relazioni familiari. Cosa l’attira verso quelle figure e in che modo queste storie danno forza a ciò che sta cercando di esplorare e comunicare attraverso la poesia?«Tutti gli scrittori traggono ispirazione e sostegno dai primi ricordi e dalle cose che li hanno cambiati o toccati o emozionati durante l’infanzia. I miei lungimiranti genitori mi raccontarono i miti greci e, quando ho imparato a leggere, ho continuato da sola. Le figure degli dei e degli eroi erano più vivide per me degli altri bambini dell’isolato a Long Island. Non era come se stessi attingendo a qualcosa di acquisito in tarda età per dare al mio lavoro una sorta di vernice di apprendimento. Queste erano le mie storie della buonanotte. E alcune hanno destato in me un’eco duratura, specialmente Persefone, tanto che ne scrivo, di tanto in tanto, da 50 anni. E penso di avere coltivato un senso di rivalità con mia madre, come capita spesso alle ragazze ambiziose. Penso che quel particolare mito abbia dato un nuovo aspetto a quelle tensioni. Non voglio dire che sia stato utile nella mia vita quotidiana. Quando scrivevo, invece di lamentarmi di mia madre, potevo lamentarmi di Demetra».Alcuni l’hanno paragonata a Sylvia Plath e hanno descritto i suoi versi come personali e intimi. In che misura ha attinto alla sua esperienza nel suo lavoro e in che misura sta esplorando temi umani universali?«Si attinge sempre all’esperienza personale perché è il materiale della propria vita, a partire dall’infanzia. Ma io cerco l’esperienza archetipica e presumo che le mie battaglie e le mie gioie non siano uniche. Mentre li si vive vengono percepiti come unici, ma a me non interessa accendere i riflettori su di me e sulla mia vita in particolare, ma piuttosto sulle battaglie e le gioie degli umani, che nascono e poi sono costretti a scomparire. Penso di scrivere sulla mortalità perché è stato uno shock terribile per me scoprire durante l’infanzia che non era per sempre».Ha sperimentato diverse forme poetiche nel corso della sua carriera, anche se la sua voce è sempre rimasta riconoscibile. È stato uno sforzo deliberato e consapevole per mettersi alla prova?«Sì, sempre. Si scrive per amore dell’avventura. Voglio essere portata da qualche parte di cui non so nulla. Voglio diventare una straniera. Una delle poche cose positive da dire sulla vecchiaia è che si tratta di una nuova esperienza. La debolezza non è la gioia più attesa da tutti, ma ci sono delle novità in questa situazione. E questo, per un poeta o uno scrittore, è inestimabile. Penso che si debba conservare la capacità di sorprendersi e di cominciare ogni volta da capo, altrimenti mi annoierei a morte. E ci sono state volte in cui ho pensato, beh, hai scritto quella poesia. È molto carina, ma l’hai già scritta».In che modo ritiene che l’invecchiamento l’abbia portata a esplorare nuovi territori come poeta?«Ti ritrovi a perdere un nome qua e là, e nelle tue frasi si aprono queste vaste lacune e devi aggiustare la frase o abbandonarla. Ma il punto è che lo vedi, e non è mai successo prima. E sebbene sia cupo e sgradevole e sia un brutto presagio, è comunque, dal punto di vista dell’artista, eccitante e nuovo».Il suo stile è stato spesso descritto come sobrio e stringato. È questa la voce che le viene spontanea quando scrive o è qualcosa che ha sviluppato e perfezionato?«A volte è stringato sì. A volte scrivo in modo colloquiale. Non lavoro su una voce. La frase trova un modo per parlare da sola. Sembra così delfico. È una cosa difficile da discutere, una voce. Penso di essere affascinata dalla sintassi e ne ho sempre sentito il potere, e le poesie che mi hanno commosso di più non sono quelle più opulente verbalmente. Erano poeti come Blake e Milton, con una sintassi e un modo sorprendente di usare l’enfasi».Insegna a Yale e ha parlato di come l’insegnamento l’abbia aiutata a superare le difficoltà che ha affrontato nella scrittura. In che modo l’insegnamento l’ha formata come scrittore?«Sei costantemente immerso nell’inaspettato e nel nuovo. Devi riorganizzare le tue idee in modo da poter impressionare i tuoi studenti. I miei studenti mi stupiscono; mi abbagliano. Non sempre riesco a scrivere, ma posso sempre leggere gli scritti di altre persone».Grazie mille per il suo tempo. C’è qualcos’altro che vorrebbe aggiungere?«Se considera il fatto che ho iniziato dicendo di non voler menzionare nulla, e poi non ho smesso più di parlare, no, non riesco a pensare a niente. La maggior parte di ciò che ho da dire di qualsiasi reale urgenza viene fuori nelle poesie, e il resto è solo intrattenimento». —