il Giornale, 10 aprile 2021
Il potere della voce su Clubhouse
Sono entrata per fare due chiacchiere. Anzi no, a dire il vero non tanto per parlare, semplicemente per ascoltare adulti parlanti della qualunque. Una roba un po’ così, come quando i colori dell’Italia erano ancora verde, bianco e rosso, e non rosso, arancione e giallo e fissavi al bar con qualche amico, poi ne trovavi altri e ciao mi chiamo tizia, caio e sempronia e bevevi qualcosa e facevi due chiacchiere, spesso noiose, a volte straordinariamente interessanti, quasi mai totalmente inutili a ripensarci adesso. Chiacchiere, conversazioni, scambi di pensieri e parole che movimentano altri pensieri e parole. Ora quando la zona si fa rossa non resta che aggrapparsi alla voce e aprire le porte di una delle stanze di ClubHouse. Chi c’è c’è. Il bisogno di entrare in mondi e in teste diverse e sconosciute non può essere rinchiuso ab illo tempore et sine fine. La fortuna del social che qualcuno dà già in declino (anche se Twitter ha macchinato per appropriarsene per 4 miliardi appena ieri) deve essere stata anche in questo infinito lockdown che ci ha chiuso tra quattro mura. In famiglia ci siamo ormai detti di tutto e forse anche troppo. Il telefono è la tua voce si sapeva già dai tempi della Telecom quando era ancora Sip e ti allungava la vita ma ora parlare è rimasta l’essenza della vita stessa. Parlo dunque sono. Esisto davvero. Con la voce esco, viaggio, imparo, conosco altre persone, cambio idea e poi la ricambio di nuovo. ClubHouse ha un po’ questo, le chiacchiere in libertà, smascherati e in pantofole e pure senza trucco tanto in quelle stanze non ti vede nessuno. È la rivincita della voce, potente più delle argomentazioni talvolta. È la rivalutazione dell’ascolto, link sonori tra sconosciuti celebri o della porta accanto che durano il tempo di una stanza perché tutto si crea e tutto si distrugge quando esci. Per chi non lo conoscesse (ancora?) è il social neonato, si fa per dire perchè ha già compiuto un anno. È una app da scaricare, un po’ snob, si entra solo su invito e non è disponibile per gli android, un po’ vietata, ai minori di 18 anni e nessuno può registrare le conversazioni, un po’ scomoda per chi ha paura della libertà assoluta, tant’è vero che in paesi come la Cina o in quelli del Golfo è stata o zittita o limitata. Organizzata per «stanze» a tema, ha un palco dove si accomodano moderatori e speaker, e una platea di ascoltatori che restano in silenzio e in silenzio possono uscire quando e come vogliono. Chi vuole intervenire alza la mano e sale sul palco. Una radio-social, un salotto più che una «stanza» frequentabile mentre sei in cucina o in macchina o a far la spesa o... a fare nient’altro perché non si può ancora fare ancora un bel niente, dove puoi incontrare Elon Musk o Tommaso Zorzi e da ieri anche il direttore degli Uffizi tra gli 10 milioni di utenti (dato di febbraio) a parlare di libri o fitness, di marketing e di ricette, di stupidaggini o di nulla assembrati con altri milioni di voci o in stanze deserte con un solo parlante e un solo ascoltante che se la raccontano ma perché no. Assembramenti sono segnalati anche in lista di attesa a caccia di un biglietto di invito. Che ci dobbiamo fare? Costretti e ormai abituati anzi assuefatti a non poterci vedere più quando e come vogliamo, abbiamo riscoperto il potere della voce: comoda con Alexia spesso pure sgarbata con Siri, veloce con i messaggi vocali su Whatsapp, immediata nei Podcast e libera con ClubHouse per ascoltare di tutto, cose serie o a vanvera sapendo che tanto poi svaniscano. Ma intanto, chi c’è per fare una «stanza»?