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 2021  aprile 10 Sabato calendario

Il 1921 di Mieli


Cento anni fa, il 1921, fu un anno fondamentale nella storia del fascismo. Ci furono settimane in cui l’avventura di Benito Mussolini sembrò sul punto di saltare per aria. In estate, poco più di un anno prima della marcia su Roma, alcuni esponenti fascisti di primo piano si ammutinarono. Perché? Per rispondere a questa domanda, bisogna fare un passo indietro. Il movimento dei Fasci italiani di combattimento, fondato a Milano in piazza San Sepolcro il 23 marzo del 1919, aveva affrontato nel novembre di quello stesso anno la prima prova elettorale. Ma Mussolini non riuscì a portare in Parlamento neanche un deputato. Era seguito un biennio di scontro frontale con i socialisti. Che toccò il culmine, nel novembre del 1920, con l’eccidio di Palazzo d’Accursio: i fascisti presero d’assalto il municipio di Bologna nel giorno dell’insediamento della nuova giunta socialista; ne seguirono spari (alcuni provenienti dalla sede municipale) che lasciarono sul terreno dieci morti e una sessantina di feriti.
Scrive Emilio Gentile in Fascismo. Storia e interpretazione (Laterza) che fu proprio in quegli ultimi mesi del 1920, che scoccò l’ora del declino del Partito socialista e iniziarono le fortune del fascismo. Ciò che capitò in quelle settimane spinse «la borghesia e i ceti medi, convinti di non essere più tutelati dal governo, a organizzare forme di autodifesa per riaffermare i diritti della proprietà e il primato dell’ideologia nazionale contro il “pericolo bolscevico” che allora appariva ancora reale». E la fondazione nel gennaio 1921 del Partito comunista d’Italia diede una indiretta conferma a quelle apprensioni.
Angelo Tasca in Nascita e avvento del fascismo (La Nuova Italia) ha elencato una a una le innumerevoli aggressioni del fascismo agrario a cavallo degli ultimi mesi del 1920 e i primi del 1921. La rapidità e l’ampiezza del «crollo del sistema socialista» in regioni ove questo sistema aveva basi antiche e solide si spiega anche con il «carattere militare dell’offensiva fascista», che «le assicura fin dagli inizi una superiorità indiscutibile» dal momento che «porta la lotta su un piano su cui l’avversario potente e superiore sotto tanti riguardi non ha alcuna seria preparazione». Oltretutto i fascisti si avvantaggiano il più delle volte della protezione delle forze di pubblica sicurezza.
Da quel biennio di scontri il movimento mussoliniano uscì sì con un’immagine di violenza ma vieppiù rafforzato. Così il 15 maggio del 1921 Mussolini poté presentare nuovamente i suoi Fasci alle elezioni politiche, stavolta nei blocchi nazionali voluti da Giolitti. E portare in Parlamento trentacinque deputati. Pochi per essere decisivi nel gioco parlamentare, ma sufficienti per offrire l’immagine di una formazione in via di consolidamento. Per i Fasci entrati in Parlamento giunge l’ora dell’«istituzionalizzazione».
Si trattava adesso di trasformare il movimento fascista in un moderno partito laburista lontano dalle fantasie rivoluzionarie e accettabile per l’establishment del Paese. Per comprendere le vicende politiche del fascismo nel 1921, ha scritto Emilio Gentile in Storia del Partito fascista 1919-1922 (Laterza), si deve considerare la stretta cooperazione tra Mussolini e Cesare Rossi «che furono i veri artefici del tentativo di inserire il fascismo nel gioco politico parlamentare, mirando alla realizzazione dell’ipotesi laburista alla quale forse Rossi, molto più di Mussolini, sinceramente credeva». Per Mussolini si trattava di costringere i ras locali ad accettare la sua nuova tattica da dispiegare all’interno delle istituzioni. Nelle province i suoi seguaci avrebbero avuto la licenza di comportarsi come nei mesi precedenti, ma lui doveva potersi presentare come un politico che aveva il potere di richiamarli all’ordine e all’occorrenza di sconfessarli.
È in quel contesto che il nuovo presidente del Consiglio, Ivanoe Bonomi, incoraggiò un improbabile «patto di pacificazione» tra fascisti e socialisti, i quali coinvolsero nell’operazione la Confederazione generale del lavoro. Mussolini aderì con ampie riserve mentali, come del resto fu per i socialisti. Il suo scopo era quello di provocare i ras provinciali del movimento per metterli con le spalle al muro e costringerli a fare atto di sottomissione. Il patto venne annunciato il 2 agosto e firmato il giorno successivo nell’ufficio del presidente della Camera Enrico De Nicola.
Il ras dannunziano Piero Marsich, quello di Cremona Roberto Farinacci, Gino Baroncini, Italo Balbo e quasi tutto lo squadrismo provinciale si opposero. Importantissimo il ruolo di avversario del patto tenuto da Dino Grandi, ras di Bologna. La rivolta antimussoliniana, scrive Gentile, «fu il momento più difficile ma decisivo nel processo di istituzionalizzazione del movimento, per la sua costituzione in partito e, in un certo senso, per la vita stessa del fascismo».
Per qualche giorno sembrò che i fascisti fossero davvero sul punto di dividersi in due tronconi. Grandi e Balbo si rivolsero a Gabriele D’Annunzio per offrirgli la guida del movimento. L’autore de Il piacere però si tirò indietro: Grandi nel secondo dopoguerra raccontò a Indro Montanelli (e a Emilio Gentile) che il poeta gli disse, in quell’occasione, d’aver bisogno di tempo perché doveva «consultare le stelle». E i tre giorni che si prese per quella bizzarra «consultazione» fecero sì che ai due passasse ogni «infatuazione dannunziana». In quegli stessi giorni Mussolini e Rossi si dimisero. «Resto semplice gregario del Fascio milanese» proclamò Mussolini. Sul fronte degli oppositori si dimisero anche Marsich e Farinacci.
Anche i socialisti subirono un contraccolpo per quel «patto». Ma le ripercussioni tra i socialisti furono di tipo opposto a quelle che si ebbero in casa fascista: anziché approfittarne per inserirsi nel gioco parlamentare, si radicalizzarono. A Milano tra il 10 e il 15 ottobre si tenne il congresso del Psi e i massimalisti confermarono la loro egemonia. Ormai per loro ogni ipotesi di inserimento nel gioco parlamentare era preclusa, mentre il «patto di pacificazione» era stato lasciato alle ortiche.
Di segno opposto furono le assise fasciste. Il 26 e 27 agosto si riunì a Firenze il Consiglio nazionale fascista che – per effetto di una mediazione di Grandi – respinse le dimissioni di Mussolini e Rossi nonché quelle dei contestatori. Da quel momento Mussolini pensò solo a programmare il congresso di fondazione del Partito nazionale fascista che si sarebbe tenuto al Teatro Augusteo di Roma tra il 7 e il 10 novembre. Il fascismo, ha scritto Gentile, entrava in una «nuova fase della sua esistenza», per affrontare «prove più difficili» con «obiettivi più ambiziosi». Quel congresso segnò definitivamente «il superamento dell’esperienza dell’antipartito». Superamento che rese possibile, undici mesi dopo, l’ascesa al potere di Mussolini con il consenso del re Vittorio Emanuele III e un’ampia maggioranza parlamentare.