Corriere della Sera, 10 aprile 2021
La Luxor ritrovata
La settimana scorsa la parata delle 22 mummie per le vie del Cairo, trasportate da un museo all’altro in diretta tv. Un mese fa lo strombazzato ritrovamento di una mummia con la lingua ricoperta d’oro. E ora l’annuncio di una scoperta archeologica straordinaria, di quelle che avvengono una volta nella vita: a Luxor, non lontano dalla Valle dei Re, è stata portata alla luce niente meno che una città risalente a 3.400 anni fa, e precisamente al regno del grande Amenofi III detto il Magnifico, XVIII dinastia, il faraone forse più «telegenico» della storia (di lui ci sono pervenute almeno 250 tra statue e raffigurazioni). Come per la processione delle mummie, anche la regia dell’ultima scoperta porta la firma del più conosciuto egittologo locale, Zahi Hawass, 73 anni, Segretario generale del Consiglio supremo delle antichità egizie.
«La perduta città d’oro», così l’ha ribattezzata Hawass rifornendo di notizie e immagini i media di tutto il mondo. «Mura alte fino a tre metri, locali con moltissimi reperti intatti e utensili perfettamente conservati per migliaia di anni, come se fossero stati usati fino al giorno prima di essere scoperti». Sarà anche questa immediatezza di vita, la mancanza di segnali premonitori di un abbandono o di una distruzione, ad aver colpito così tanto lo studioso americano Peter Lacovara, direttore dell’Ancient Egyptian Heritage and Archaeology Fund, spingendolo a descriverla come «una sorta di Pompei dell’Antico Egitto». O piuttosto sarà stato lo stato di conservazione e il volume degli oggetti di cui Hawass ha dato notizia a giustificare il paragone con la città sepolta sotto la cenere del Vesuvio. Betsy Brian, che insegna Egittologia alla John Hopkins University, è rimasta folgorata dai ritrovamenti: forni per la cottura, fornaci per il vetro e la terracotta, resti di migliaia di statue, monili, scarabei. Per lei è la scoperta più importante dal ritrovamento della tomba di Tutankhamon nel lontano 1922.
Un tesoro ambito e orgogliosamente rivendicato dalle autorità egiziane. «Molte spedizioni estere avevano cercato questa città senza mai trovarla», continua Hawass nel suo comunicato. Costruita sulla riva occidentale del Nilo, «la città d’oro» appare come il maggior centro amministrativo e «industriale» dell’impero. Fu usata fino al regno del nipote di Amenofi III, Tutankhamon, e a quello del suo successore, il re Ay, nell’area che oggi va dal tempio di Ramses III ai Colossi di Memnone estendendosi a ovest fino a Deir el-Medina, il villaggio degli operai che hanno costruito le tombe della Valle dei Re e delle Regine. «La scoperta non solo ci permetterà di dare un raro sguardo sulla vita degli antichi egizi nel periodo in cui l’Impero era più ricco – ha detto la professoressa Brian al Washington Post – ma ci aiuterà a far luce su uno dei più grandi misteri della storia: perché Akhenaton e Nefertiti decisero di trasferirsi ad Amarna».
L’Egitto cerca disperatamente di attirare nuovi turisti dopo lo stop della pandemia. Sul fronte interno e internazionale, il governo del presidente al Sisi fa brillare il passato e oscura il presente. La parata delle mummie, con la banda militare e i 21 colpi di cannone, è qualcosa che va oltre l’inaugurazione del Museo Nazionale della Civiltà Egiziana. Per l’occasione grandi pannelli hanno nascosto alle telecamere le case umili dei quartieri operai sullo sfondo. Ora il loquace egittologo di corte Hawass narra lo splendore della città perduta di Amenofi il Magnifico. Una luce meravigliosa che non basta a nascondere la ferocia opaca del nuovo faraone, senza offesa per i faraoni.