la Repubblica, 10 aprile 2021
Intervista a Stefano Sollima
Adrenalina e geopolitica. Questa la formula di Senza rimorso, il thriller hollywoodiano che Stefano Sollima ha tratto dal romanzo di Tom Clancy con protagonista (e produttore) Michael B. Jordan. Il divo afroamericano incarna John Clark, uno dei personaggi più amati dello scrittore. È un Navy Seal diviso tra la sete di vendetta per la morte della moglie incinta e la lealtà verso il proprio paese, in uno scenario da nuova guerra fredda che spazia tra Siria, Stati Uniti e Russia. Il film è dal 30 aprile su Amazon Prime Video.
Sollima, perché ha scelto questo film?
«Sono un fan di Clancy e dei suoi thriller politici, mix perfetto di intrattenimento e profondità, inquadrati in un contesto geopolitico preciso. Il libro era ambientato negli anni 70 ma le tematiche erano facilmente trasportabili all’oggi. Ad esempio spostando lo scenario dello scontro su paesi terzi dal Vietnam alla Siria».
È un film sul potere della paura.
«Uno strumento formidabile.
Quando c’è una crisi, un momento di difficoltà sociale, la paura diventa una risorsa che ti aiuta a tenere viva la collettività stessa. Il libro racconta un conflitto Usa-Urss che fa venire in mente i vecchi film di spionaggio. Poi ti trovi a fare i conti, nei giorni scorsi, con il caso italiano della spia russa – sarebbe interessante raccontarlo al cinema – o con Biden che dà dell’assassino a Putin dopo uno dei momenti più forti di tensione sociale degli ultimi cinquant’anni negli Stati Uniti. Nel mio film un personaggio dice “noi siamo un paese diviso in cui ogni metà odia l’altra, bisogna trovare allora un nemico che ci unisca”. In Senza rimorso si assiste alla creazione di una guerra che, come spesso è successo, ha una ragione che va al di là degli interessi di un paese rispetto alle risorse di un altro, o al controllo su alcune aree del pianeta».
Oggi lo scontro tra Usa e Russia viaggia sulla tecnologia.
«Sì, e i soldati combattono una guerra invisibile, piccole unità speciali che si muovono dell’ombra, le Black Ops.
Operazioni in cui lo scopo è assolutamente non dichiarato, neanche agli stessi Seal».
Michael B. Jordan come John Clark, un altro passo che scardina gli stereotipi della vecchia Hollywood.
«Michael oggi è la star afroamericana più esposta, in prima fila nella causa di Black Lives Matter. Nel film raccontiamo il mondo di Tom Clancy, con protagonisti di provenienza diversa, in un film d’azione che offre spunti di riflessione. Anche sul fronte tecnico, la troupe è inclusiva e lo dimostra la mia presenza, sono un regista italiano con una visione diversa rispetto all’establishment di Hollywood. Michael come attore era perfetto perché è un buono. Il suo personaggio all’interno del film viene trascinato in luoghi oscuri, era fondamentale avere un interprete che, anche nei momenti più violenti e ambigui, ti ricordasse che lui è un uomo perbene. Raccontiamo un gigantesco tradimento nei confronti di un uomo che pensa di combattere dalla parte giusta, garantendo pace alla sua casa».
Rispetto al libro sparisce l’ex prostituta “vittima” ed entra una donna capo dei Seal.
«L’unico tradimento all’oggi, non esise un capo dei Seal donna, ma che guarda al domani. Una piccola forzatura che crea un personaggio interessante, il comandante delle forze speciali e il migliore amico di John. Jodie Turner-Smith si è addestrata per mesi, con marines e Seal; era fondamentale che, al di là della provocazione nella scrittura, fosse credibile nei fatti».
Anche Jordan non ha controfigura.
«La prima volta che ci siamo incontrati gli ho detto: “Trovo l’azione per l’azione piuttosto noiosa, mi piace invece quando in un film è una sollecitazione al personaggio, come lo cambia, in quale direzione lo spinge”. E quindi tutta l’azione è costruita intorno all’attore, ed è necessario che le scene, anche le più complesse, le faccia lui e non una controfigura. Il risultato è un’azione che è assolutamente più intima.
Michael ha fatto tutti i combattimenti e le scene sott’acqua, è entrato in una macchina in fiamme. Senza mai perdere il sorriso e la gentilezza».
Avete girato a Washington e a Berlino.
«A Berlino abbiamo ricostruito una parte di Aleppo. Gran parte di quel che si vede è un set fisico, gli effetti digitali sono minimi. Gli attori, se sono in una situazione reale, rendono di più».
Il film era pensato per la sala.
«Ho fatto cinema e tv in egual misura. Il film è stato pensato per la sala. Ma così molte più persone lo vedranno, è quasi un atto dovuto».
Lo ha montato a casa, durante la pandemia.
«L’effetto collaterale negativo del mio lavoro, che amo, è che mi allontano spesso fisicamente da chi amo. La postproduzione fatta a Roma, durante la pandemia, mi ha fatto capire che è possibile fare bene le cose e stare nella mia casa».
Il nuovo film sarà italiano, “Colt”, dal soggetto di Sergio Leone.
«Sì, io non vivo a Hollywood, vivo qui a casa mia e voglio lavorare anche qui. È un progetto a cui penso moltissimo. Con coproduttori e attori internazionali, ma anche molto nostro, un po’ come ZeroZeroZero».
Era nato come una serie.
«Non faccio differenze tra i mezzi, ma alcune funzionano più al cinema che in tv, Colt è nato per essere un film».